Attualità

L'ex ministro Pd. Orlando: «La destra delle rendite getta la maschera»

Marco Iasevoli sabato 15 luglio 2023

L’ ombra dell’emendamento soppressivo che si stende sul salario minimo inquieta Andrea Orlando, deputato del Pd ed ex ministro del Lavoro e della Giustizia. «È la dimostrazione eclatante - attacca l’esponente dem - del fatto che la destra non vuole farsi carico del tema del lavoro povero e della crisi salariale nel nostro Paese».

Sin dall’inizio della legislatura il governo ha ricette diverse dalla vostra su salari e carovita...

In realtà ci troviamo di fronte a una scelta che va oltre le ricette politiche e che segna un passaggio non banale. In questi anni abbiamo avuto da destra una retorica contro le grande multinazionali e i poteri forti che ha accreditato l’ipotesi di una empatia con le persone maggiormente in difficoltà. Si trattava di un equivoco, evidentemente. E l’empatia era solo propaganda. Adesso la maschera cade. Ci troviamo di fronte alla destra di sempre, che preserva le gerarchie sociali determinate dalle forme di capitalismo più selvaggio. La destra delle rendite che mette il lucchetto all’ascensore sociale.

Ritiene che anche per “galateo” la maggioranza dovrebbe consentire alla pdl di arrivare in aula?

Questa è l’altra faccia della medaglia. Questa destra ha un carattere autoritario ed è insofferente al ruolo dell’opposizione. Noi quando eravamo in maggioranza non abbiamo mai fatto una cosa simile, e mi meraviglia la mancata reazione delle componenti liberali, anche se capisco che questo espediente evita l’imbarazzo di sostenere una posizione così arretrata di fronte al Paese.

Sul salario minimo si consumerà l’ennesimo derby all’italiana tra sinistra e destra?

Non è una misura bolscevica, spesso è stata introdotta da forze conservatrici e liberali. È un lievissimo temperamento ai meccanismi brutali del mercato. Risponde a quel concetto di “giusta mercede” che troviamo anche nella dottrina sociale della Chiesa.Rifiutando anche il semplice confronto, il governo si pone su una posizione di estremissima destra. E va in contraddizione con i propri proclami...

Ovvero?

Prima smantellano il Reddito di cittadinanza perché dicono che la povertà si sconfigge con il lavoro, poi consentono il dramma di tantissime persone che restano povere pur lavorando. Non hanno capito o non vogliono capire che senza un recupero parziale del peso dell’inflazione avremo l’impoverimento di altri pezzi di società che oggi consideriamo ceto medio o medio-basso. Senza trascurare gli effetti macroeconomici: quando Visco apre al salario minimo non credo si preoccupi solo della povertà, ma anche dei possibili danni di questa contrazione del potere salariale in termini di domanda interna. Mantenere sacche ampie di lavoro povero porterà danni che ricadranno su tutti.

Il salario minimo è sufficiente per comporre una coalizione di centrosinistra?

Non è sufficiente, ma è un passo importante. Il passo successivo per me è un confronto complessivo sui salari: cosa non funziona nella contrattazione, quali difficoltà incontrano le imprese... Se troviamo la quadra su questi nodi si può ricomporre una coalizione da opporre a una destra che vuole solo dumping salariale ed evasione.

Il governo sostiene che questi temi si affrontano tagliando il cuneo.

Chi dice questo è in malafede. Intanto perché con vari tagli la tendenza dei salari è rimasta stagnante. In seconda battuta, perché l’effetto su un salario di 6-700 euro è ridottissimo. E poi, aggiungo, lo facessero davvero il taglio del cuneo: sinora hanno fatto solo ritocchi una tantum ai decimali.

Il centrosinistra a suo parere dovrebbe compattarsi su una patrimoniale?

Intanto si parta dal tassare più le rendite finanziarie che non l’investimento sul lavoro o sulla produzione. E poi mettiamoci d’accordo nell’intervenire sugli extraprofitti immeritati maturati in questi anni di poli-crisi da alcuni comparti, da ultimo le banche. E c’è il tema di una tassazione seria sulle grandi piattaforme. Un confronto su come la ricchezza si sia distribuita serve, non per forza la risposta deve essere una patrimoniale sugli immobili.

Il governo è in polemica con la magistratura: non ritiene che ci siano nodi sistemici da sbrogliare ?

Le riforme che ho fatto io sono andate in porto con un dibattito acceso, la magistratura non deve essere per forza d’accordo. Tuttavia, deve essere chiaro che le scelte avvengono nel merito. Se invece nascono e appaiono come ritorsioni non vengono comprese dall’opinione pubblica. Non è che la discussione sull’imputazione coatta si può aprire perché c’è un caso riguardante un sottosegretario. Né servono interventi sporadici preceduti da dissertazioni generiche e da nessuna vera analisi: mi riferisco, ad esempio, all’abuso d’ufficio, che tra l’altro apre anche un problema di rispetto da parte dell’Italia di accordi internazionali.

Per lei dunque il ministro Nordio è fuori rotta?

Le sue ultime parole creano ulteriore allarme. Lui ricorda con onestà intellettale che l’imputazione coatta nasce dall’esigenza di coniugare l’impianto accusatorio anglosassone con l’obbligatorietà dell’azione penale. Ma superare l’obbligatorietà vuol dire smantellare la parità dei cittadini di fronte alla legge. Nordio così lancia una bomba atomica sull’articolo due della Costituzione.

Eppure, al netto di tante distanze, non è escluso che dopo l’Eurovoto Pd e Fdi stiano nella stessa maggioranza europea...

Nel caso mi batterei perché questo non avvenga. Non per pregiudizio ideologico. Ma perché la nostra idea di Europa non può essere coniugata con quella dei nazionalisti.