Attualità

INTERVISTA. Andrea Riccardi: «Così le famiglie non reggono»

Giovanni Ruggiero mercoledì 18 luglio 2012
La fotografia dell’Italia povera dell’Istat non sorprende il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi. «Non ignoravamo questa situazione – dice – e stiamo valutando come  intervenire». Riconosce l’importanza dei numeri, pur non giudicandoli rivoluzionari.Ministro, questi dati non vanno sottovalutati...Nessuno li sottovaluta, tantomeno il governo.  Purtroppo, nella maggior parte dei casi, sono situazioni  consolidate, che si trascinano da anni, più che nuove povertà. Girando per l’Italia ci si rende conto di tante situazioni di difficoltà...Ad esempio?Vengo da Palermo dove ho visitato alcune opere sociali e sono stato a contatto con famiglie. Lì mi sono reso conto di come esista un problema di povertà in Sicilia.Infatti l’Istat lo sottolinea.È un vero allarme. L’incidenza di povertà raggiunge il 27,8 per cento nei casi in cui la persona di riferimento è alla ricerca della prima occupazione. In Calabria è di poco inferiore. L’allarme povertà concentrato in queste due regioni ci chiede particolari impegni.Otto milioni di poveri in tutta l’Italia è una cifra terribile, non crede?Sono sicuramente troppi per un Paese come l’Italia, però non è aumentato in modo drammatico nonostante questo sia stato un anno veramente difficile. Ma dobbiamo andare al di là dei dati e provare a leggere la realtà nelle sue varie pieghe.Cosa scopriremmo?Ci sono delle povertà molto preoccupanti. Innanzitutto quella dei nuclei anziani. Poi ci sono i giovani senza lavoro. Ma soprattutto c’è il problema della famiglia che è un grande fattore di equilibrio e di compensazione in questa situazione. Ma se la famiglia si impoverisce ci troveremo in una situazione di produzione di ulteriore povertà e di spaesamento. Il messaggio implicito che arriva dal rapporto è che avere figli e fare famiglia alla fine sembra essere un peso. È un messaggio estremamente pericoloso e infatti dobbiamo cambiare rotta. Mi ha colpito il fatto che le famiglie con tre figli sono particolarmente penalizzate. Dobbiamo pensare come intervenire e ne parleremo con le Regioni.L’Istat fotografa il 2011, ma che succederà, dato il momento di crisi, nel 2012? Non sarà peggio?Non credo che la situazione 2012 sarà migliore. Dobbiamo essere onesti e dirlo. Come governo, abbiamo fatto tentativi grossi, come l’investimento di settecento milioni sulla famiglia nelle regioni meridionali, che non è poco con questi chiari di luna. Ora sto lavorando su un bando di 27 milioni che premia l’iniziativa dei giovani a livello imprenditoriale e di lavoro. Da storico, però, e non solo da ministro, dico che noi rischiavamo il peggio: fare bancarotta come sistema Italia e vedere la frantumazione dello Stato. Il pericolo c’era?Io l’ho visto molto chiaro a novembre-dicembre dell’anno passato. Non abbiamo voluto allarmare l’opinione pubblica, ma eravamo sull’orlo dell’abisso. Con il rischio di dover rinunciare alle conquiste dello Stato sociale. Oggi questo regge, però ho paura che il rapporto 2012 non sarà roseo.È possibile spostare risorse per far fronte a queste povertà?Il nostro è un governo tecnico chiamato per risanare il Paese e per evitare il default. Ma questo non ci impedisce di pensare ai problemi sociali del Paese.  Abbiamo una Sanità in sofferenza con la recente spending review. Abbiamo la scuola che è importante e decisiva per i giovani e per il futuro del Paese. Quindi, da dove spostiamo? Sono domande che ci dobbiamo fare, anche se le soluzioni non sono così facili. Glielo chiedevo, appunto... Dai costi della politica, per esempio?L’amministrazione l’abbiamo tagliata di grosso, c’è stato l’accorpamento delle Province.  Io stesso di tre dipartimenti ne ho abolito uno e ho unificato Giovani e Servizio Civile, rinuncio a dirigenti preziosi perché esterni all’amministrazione. I tagli alla politica sono doverosi ma servono soprattutto come buon esempio: è  ingenuo pensare che basti  eliminare quei  costi perché il Paese si riprenda. La questione sta qui: i tagli devono favorire la ripresa economica, senza di essa non si va avanti.