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Il sociologo De Miguel: «Un nuovo ’68? No, sono solo populisti»

Michela Coricelli venerdì 14 ottobre 2011

​«Ma quale rivoluzione? Secondo me questi ragazzi non sono indignati, sono dei conservatori. Vorrebbero uno Stato che dà loro la casa, il lavoro, un buono stipendio e le vacanze assicurate. Mi sembra una protesta generazionale contro i genitori: temono di vivere peggio di loro. E per questo occupano le piazze: un atteggiamento un po’ passivo. Di certo non ricorda nessuna rivoluzione…». Professore di sociologia all’Università Complutense di Madrid, autore di una lunga schiera di libri (alcuni dedicati all’universo giovanile), Amando De Miguel non usa mezzi termini nel criticare il fenomeno nato in Spagna.ll’inizio le loro richieste erano molto concrete, in particolare sul fronte del lavoro. La Spagna ha il tasso di disoccupazione più alto d’Europa. Secondo lei c’è stata una deriva verso posizioni antisistema?Io penso siano sempre stati antisistema. Il 15-M (da 15 maggio 2011, data d’inizio del movimento, ndr) è un movimento populista e come tale, a mio parere, non è democratico. Parlano di democrazia reale, ma cosa significa? La democrazia è rappresentativa. Chiedono cose condivisibili: lavoro per i disoccupati, lotta contro la corruzione. Ma temo una strumentalizzazione di queste correnti da parte di una certa sinistra.

C’è chi li paragona ai ragazzi del Sessantotto francese…<+tondo>ssolutamente no. Piuttosto, io vedrei un parallelismo con alcuni movimenti che sorsero in Europa negli anni Venti e Trenta. Anche allora era in corso una grave crisi economica e la classe media, i giovani, si sentivano frustrati. Come finirono? In Italia confluirono nel fascismo, in Spagna o in Portogallo in altre sigle. L’Argentina di Perón conobbe i descamisados. Il punto chiave che non mi piace è questa loro generalizzazione: dicono che sono tutti uguali, tutti corrotti. Hanno bisogno di individuare qualcuno a cui addossare per intero la colpa: i partiti o i banchieri.

Vede similitudini con la cosiddetta “primavera araba”?No, non confondiamo. Il processo è opposto. Nei Paesi arabi la gente in piazza chiede proprio quello che qui contestano: partiti politici. Insomma, gli arabi protestano perché vogliono la democrazia. Nel caso degli indignados, invece, c’è stanchezza e insofferenza verso la democrazia: un atteggiamento che parte proprio dall’idealizzazione dei percorsi democratici. Questi fenomeni si somigliano solo esternamente, ma la popolazione che scende per le strade non chiede lo stesso.

Gli spagnoli sono stati i primi: i movimenti sorti in altri Paesi europei, dall’Italia alla Gran Bretagna, sono uguali ?Ora sembrano tutti la stessa cosa. Vorrei ricordare che nelle strade di New York o Bruxelles, negli ultimi giorni, c’erano anche molti spagnoli. Sospetto che dietro ci sia semplicemente un profondo conflitto generazionale che coincide con una crisi. Ripeto: è la rabbia di chi non vuole vivere peggio dei propri genitori. In Spagna, però, c’è un altro elemento…

Quale?Purtroppo qui il fenomeno è collegato al crollo della qualità educativa. Nel nostro Paese frequentano tutti l’università, ci sono più iscritti che in Germania, ma il livello è modesto. Chi ha una laurea, dunque, non trova lavoro. Ed è frustrante. Tutto ciò alimenta le proteste.