Attualità

Inclusione. Fenomeno "hikikomori", 100mila casi in Italia

Maurizio Carucci giovedì 12 marzo 2020

In periodo di Coronavirus restare a casa è una virtù per i giovani. Anche se molti adolescenti la considerano una costrizione, può invece diventare un'opportunità. Seguire lezioni on line, leggere un buon libro, guardare un bel film, migliorare le relazioni con i familiari o socializzare da remoto con amici e parenti possono aiutare l'autoformazione. C'è però - al di là dell'attuale emergenza sanitaria - chi preferisce rimanere chiuso nella propria cameretta. Spesso non si alza nemmeno per andare a mangiare ed è collegato al mondo esterno solo con telefonino, tablet o computer. Non sono i Neet (Not in Education, Employment or Training, coloro che non studiano e non lavorano), che resistono passivamente alle pressioni esterne anche per lungo tempo, ma senza rinunciare a frequentare il proprio ambiente di vita e a mantenere delle relazioni interpersonali. L’Italia è risultata prima nell’ambito europeo per aver raggiunto nel 2017 la percentuale preoccupante del 27,5% di Neet, tanto che l’Unione Europea - con Garanzia Giovani – ha tentato di recuperarli. Il fenomeno hikikomori – nato in Giappone (testualmente significa stare da parte, isolarsi) - riguarda giovani tra i 14 e i 30 anni che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi di tempo: da pochi mesi a molti anni. In Italia si contano più di 100mila casi.

«Non esiste un protocollo clinico efficace sulla base di evidenze scientifiche – spiega la psicologa Rosanna Maria Della Corte -. Per la sindrome da ritiro sociale, sono stati utilizzati, come precedentemente in Giappone, strumenti psicodiagnostici, ma non abbiamo la possibilità di far capo a criteri riconosciuti da tutta la comunità scientifica. L’accuratezza di una diagnosi differenziale si rivela pertanto indispensabile. Dal punto di vista psichiatrico e psicopatologico si è verificato se vi fosse la presenza di compromissioni di tipo psicotico, schizoidi, di disturbi della personalità. Si è ricercata la presenza di episodi che segnalassero sintomi psicopatologici prima, durante o dopo il ritiro. Il 45% degli hikikomori non ha mai avuto in precedenza alcun disturbo psichiatrico. In alcuni casi si individuano esiti postraumatici, con particolare frequenza di disturbi di personalità di tipo evitante». Gli hikikomori sono prevalentemente maschi; ciò pone un elemento in più accanto alla problematica della faticosa evoluzione dell’identità corporea del ragazzo adolescente di fronte al sentimento di inadeguatezza delle proprie fattezze (sentimento accentuato nella civiltà dell’immagine).

Secondo l’antropologa Carla Ricci, che ha studiato il fenomeno in Italia e in Giappone,
la cultura di ambedue i Paesi influenza particolarmente le dinamiche affettivamente privilegiate tra madre e figlio, caratterizzando gli atteggiamenti educativi materni nei confronti della mascolinità che il figlio sviluppa e manifesta nei comportamenti. A quanto segnalano le statistiche, gli hikikomori italiani, a somiglianza di quelli giapponesi, hanno famiglie collocate in una fascia sociale medio-alta e genitori dotati di titoli culturali. L’ipotesi prevalente individua un fattore determinante dell’orientamento al ritiro nella pesante influenza delle aspettative genitoriali introiettate e intimamente pressanti per il ragazzo. Quanto al trattamento, studiosi di differenti approcci scientifici hanno effettuato le loro sperimentazioni in numerose regioni italiane. L’associazione Hikikomori Italia ha raccolto interviste dai ragazzi e realizzato esperienze su tutto il territorio nazionale. L’Istituto Minotauro ormai da anni ha impegnato le sue competenze psicoanalitiche nella psicoterapia degli hikikomori. Altri studiosi hanno affrontato il problema con approccio cognitivo-comportamentale. Si è cercato di trarre esperienza dal Giappone, ma si sono anche avviate modalità nuove per affrontare il problema, estese all’ambito della psicologia di comunità. Tra le diverse iniziative che affrontano la necessità di una responsabilizzazione sociale a livello di gruppo, sarà interessante verificare l’esito di gruppi di ragazzi che si dedicano a dare un loro supporto ai coetanei, in quanto ex hikikomori, (come avviene per i drogati con l’aiuto di ragazzi usciti dalla dipendenza), o giovani impegnati a portare in Italia esperienze da diverse parti d’Europa come nel progetto Knik it. Strategies to engage socially isolated youngsters cofinanziato dal programma Erasmus +, che organizza un incontro di analisi e sensibilizzazione col supporto di facilitatori. L’utilizzo eventuale di farmaci si rivolge ad ansiolitici e antidepressivi, ma sul punto degli psicofarmaci e anche delle strutture psichiatriche destinate ai minori c’è un dibattito aperto. «L’evenienza del ritiro sociale – continua Della Corte - ha richiamato la necessità di verificare la validità degli interventi che su più larga scala sono stati sperimentati nel tempo, per sostenere l’arco dell’età evolutiva anche prima dell’adolescenza, soprattutto tendenti a valorizzare il rapporto tra la famiglia e la scuola, ma anche a dotare la scuola di contenuti e strategie più moderni e attrattivi, di strumenti di espressione diretta ed anonima del disagio degli studenti a partire dalla preadolescenza (sportelli, counseling), interventi di sensibilizzazione e di monitoraggio che pur collocandosi nell’aula scolastica spingono all’emersione del disagio in famiglia e nella scuola stessa, per prevenire esperienze dense di carica potenzialmente traumatica».

Il fenomeno ha costi sociali che ricadono non solo sulla sanità e sull’economia, ma anche sui bilanci familiari. «Grazie a una applicazione del teorema di Veblen – conclude Luigi Pastorelli, dello Schultz Risk Centre – è possibile calcolare gli incrementi delle spese sanitarie per il supporto psichiatrico e farmacologico, delle assenze dal lavoro da parte dei familiari, delle necessità di dare un supporto economico in assenza dei familiari. Il modello evidenzia un incremento del 30% nelle spese di assistenza psichiatrica o psicologica, che può essere fornita dal Servizio sanitario nazionale alla fascia d’età adolescenziale. Per quanto riguarda le spese di carattere farmaceutico si evidenzia un incremento del 48% per un maggiore uso di farmaci rispetto all’utilizzo di farmaci della fascia adolescenziale. Inoltre si evidenzia un incremento delle assenze dal lavoro da parte dei familiari di un ragazzo o una ragazza hikikomori, quantificate come permessi in un 10% annui. E quantificate come malattia in un 25% annui. Infine la necessità di prevedere da parte della fiscalità generale l’adozione di sistemi di previdenza riferiti agli hikikomori che per lunghi periodi non fanno alcuna attività lavorativa e che sono privi di sostegno economico da parte delle famiglie».