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LO SCANDALO DEL MONTE. L'inchiesta su Mps si allarga Aperto fascicolo anche a Roma

Nello Scavo venerdì 1 febbraio 2013
Cinque ore per ribadire di «non aver avuto un ruolo diretto nella trattativa per la cessione di Antonveneta da Santander a Mps». E per precisare che Mussari «non fece un’offerta così spropositata, se è vero che altre banche stavano per aggiudicarsi Mps con cifre poco al di sotto di quanto erano disposti a pagare i senesi». Sarebbe questo uno dei passaggi chiave del lungo interrogatorio a cui si è sottoposto il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, convocato dai pm di Siena quale persona informata dei fatti. Risposte arrivate nella giornata in cui per la prima volta dalle sue dimissioni ha parlato Giuseppe Mussari. Poche parole per dire all’Ansa che «né io né il mio avvocato abbiamo mai rilasciato dichiarazioni nel pieno rispetto dell’attività di indagine». Intanto anche la Procura di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine, ipotizzando il reato di manipolazione del mercato a carico di ignoti.Nei prossimi giorni proprio l’ex presidente di Mps Mussari dovrebbe essere il primo a presentarsi a Siena, come indagato, davanti a quei pm che lo ritengono al vertice di un’associazione di cui farebbero parte anche l’ex direttore generale Antonio Vigni e buona parte dell’area finanza della terza banca italiana.Nuovamente la procura ha dovuto tranquillizzare i mercati smentendo «notizie infondate» su ipotesi di sequestri di asset della banca senese. Informazioni che potrebbero configurare i reato di aggiotaggio e insider trading. Nel complesso la posizione di Gotti viene definita «da verificare». Nel corso dell’interrogatorio il banchiere avrebbe ribadito che tutta l’operazione Antonveneta fu gestita direttamente dalla casa madre in Spagna.Dagli uffici della procura trapela più di un dubbio, quanto alla reale possibilità che Santander possa aver condotto una trattativa di quella portata tenendo all’oscuro l’uomo che da vent’anni la rappresentava in Italia. I pm, infatti, hanno chiesto conto anche di alcuni incontri che l’allora plenipotenziario dell’istituto iberico nel nostro Paese avrebbe avuto proprio con l’ex presidente del Monte dei Paschi. Nell’agenda sequestrata a Giuseppe Mussari c’è, fra l’altro, un’annotazione riguardante un faccia a faccia tra lui e Gotti Tedeschi, il 30 maggio del 2007, quando secondo gli inquirenti Mps stava mettendo a punto la strategia che nel novembre dello stesso anno la portò a chiudere l’affare con Emiliano Botin, il patron di Santander che poche settimane prima aveva acquistato l’istituto patavino per 6,6 miliardi. «C’era stata la disponibilità di Bnp Paribas – questo in sitesi il ragionamento del banchiere – ad acquistare per oltre 8 miliardi», e ciò giustificherebbe l’offerta di Mussari che salì fino a 9,3 miliardi, lievitati a 10,3 con i costi e gli interessi calcolati dal momento dell’accordo a quello del saldo. Se poi questo avesse creato dissesto nelle casse di Mps, «non poteva certo essere una preoccupazione del venditore». A questo punto il banchiere che fino allo scorso maggio aveva guidato lo Ior, avrebbe segnalato quella che, a prima vista, potrebbe apparire come una incongruenza investigativa. Il Banco Santander è quotato in Borsa, dunque sarebbe impossibile ricevere più di nove miliardi in contanti e poi retrocedere al compratore una "cresta" di due miliardi – è questa una delle accuse a Mussari – omettendone la "restituzione" dal bilancio.Se per un verso Gotti Tedeschi ha tentato di precisare la sua posizione, per l’altro le sue parole costringono gli inquirenti a indagare sull’asse Siena-Madrid, allungando i tempi dell’indagine ma aprendo alla possibilità di una inchiesta transnazionale. Subito dopo Gotti è entrato in procura un’altra figura centrale: Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Monte dei Paschi, l’ente che detiene la maggioranza di Mps e che, nella sostanza, ne decide il destino. Anch’egli è stato sentito in qualità di teste, ed è almeno la seconda volta. I pm si sarebbero soffermati soprattutto sulla lettera di indemnity,relativa al cosiddetto prestito "Fresh" da un miliardo. Quel documento era una sorta di garanzia per la fondazione, che di quel bond avrebbe preso la fetta più grande. Mancini ha ribadito che vi è massima collaborazione con i magistrati. Stando a quanto si apprende la lettera, cercata anche oggi negli uffici di Palazzo Sansedoni, non sarebbe stata trovata. E chissà se i vertici della Fondazione si sono sorpresi quando hanno scoperto che una copia della indemnity invece ce l’avevano i magistrati.