Attualità

RICERCA. In quelle «Card» c’è poca famiglia

Antonella Mariani venerdì 25 febbraio 2011
C’è chi, come la Provincia di Roma, l’ha estesa ai fami­liari anziani e non auto­sufficienti. Chi, come Ber­gamo, oltre alle piscine co­munali è riuscito a coin­volgere anche la grande distribuzione e gli studi dentistici. Chi, come Bologna, ha ammesso tra i beneficiari le famiglie con 'solo' 2 figli, purché minorenni, anziché 3 come accade nella maggio­ranza dei casi. Chi, ancora, come Bol­zano, ha previsto un reddito imponibile inferiore ai 60 mila euro per godere dei benefici. L’Italia dei campanili si riflet­te anche nelle Family Card: ognuno fa per sé, in ordine sparso, sperimentan­do iniziative diversissime tra loro. È una mappatura a macchie di leopar­do, quella che emerge dalla ricerca rea­lizzata dalla Provincia di Trento e pub­blicata pochi giorni fa sul sito dell’am­ministrazione. Una mappa con la gran massa delle 'bandierine' concentrata in Lombardia, Veneto, Emilia e Marche e con un Sud desolatamente sguarnito. Le Carte famiglia sono un fenomeno piuttosto recente in Italia, accelerato ne­gli ultimi cinque anni soprattutto dal­l’attivismo dell’Associazione famiglie numerose e dal dibattito sulla promo­zione della famiglia scaturito dal Fa­mily Day. I frutti? 42 Family Card – di cui 28 attive, 9 sospese o concluse e 5 in fase di realizzazione –, patrocinate dalle amministrazioni locali (quasi sempre da Comuni, in quattro casi da Province, in un caso da una Regione – il Friuli-Venezia Giulia – e in un paio di casi da più Comuni consorziati). Quel che si nota, scorrendo la rassegna effet­tuata dalla Provincia di Trento, è che moltissime carte si limitano a creare un circuito di negozi disponibili a vende­re prodotti con uno sconto. È il caso di Belluno, dove i nuclei con almeno 3 fi­gli possono comprare vestiti, casalin­ghi, automobili, libri e persino orga­nizzare funerali a prezzi 'amici' in 90 negozi convenzionati.Una soluzione, quella della pura e semplice scontisti­ca, che non convince Luciano Malfer, di­rigente generale del Coordinamento po­litiche familiari e di sostegno alla nata­lità di Trento e 'patron' della ricerca: «Il messaggio che passa è che l’ente locale sta a guardare, si limita a organizzare qualcosa ma poi si tira indietro. Se­condo me questa non è reale promo­zione della famiglia. E in più, alla fine il risparmio per le famiglie non è così rilevante». Nelle realizzazioni più avanzate, inve­ce, la Family Card prevede agevolazio­ni anche su servizi comunali come le mense e i trasporti scolastici o sulle u­tenze. Accade a Ferrara, dove però è sta­to posto un vincolo di almeno 4 figli sotto i 26 anni e un reddito (con il cal­colo Isee) sotto i 25 mila euro. A Par­ma c’è una vera e propria carta di cre­dito magnetica, che convoglia il paga­mento di servizi e tariffe di competen­za dell’amministrazione comunale, già calcolati al netto delle agevolazioni per i nuclei familiari. Dunque, esperienze diversissime tra lo­ro. Ma cosa deve offrire, al minimo, u­na Family Card che si rispetti? «Come minimo, una buona scontistica nella grande distribuzione e tariffe agevolate per la famiglia nei trasporti pubblici», risponde Mario Sberna, presidente del­l’Associazione famiglie numerose, le cui sedi locali hanno dato impulso, con il loro pressing nei confronti delle am­ministrazioni comunali, al 30 per cen­to delle Family Card. Ma il problema, per Sberna, è un altro: «Manca una di­rettiva nazionale che uniformi la mate­ria. In secondo luogo le Carte famiglia funzionano nella misura in cui un’am­ministrazione ci crede fino in fondo e decide di investire delle risorse».