Attualità

L'inchiesta. In otto parole le sfide per il 2014

lunedì 30 dicembre 2013
Immigrazione - Caso europeo che rischia di esplodere sul tavolo-ItaliaIl 2014 dovrà essere l’anno della svolta per le politiche dell’immigrazione. Per l’Italia e per la Ue. Quello che è accaduto e continua ad accadere sotto i nostri occhi, e gli scenari con cui dobbiamo misurarci, ci dicono che non è possibile eludere o rinviare il problema. La popolazione dell’Africa (mezzo miliardo nel 1980) ha superato il miliardo e toccherà i due miliardi nel 2050. L’aumento è dovuto all’incremento delle aspettative di vita: ad esempio, in Etiopia un bambino nato nel 1970 viveva mediamente 35 anni mentre uno nato nel 2010 ha un’avventura umana media di 55. Contando l’Egitto ed i suoi 90 milioni di abitanti nell’area “africana”, la popolazione del Medio Oriente crescerà da 450 a quasi 700 milioni di persone. Nella Federazione Russa, invece, è probabile una riduzione della popolazione (da 150 a 120 milioni) legata all’abbassamento dell’aspettativa media di vita per cause come l’alcolismo e la diffusione di malattie infettive; è anche previsto un abbassamento dei tenori di vita per ampi strati di popolazione (man mano che si esauriscono risorse naturali ed estrattive) a causa di un apparato produttivo fatiscente. In definitiva, un’enorme massa di persone si riverserà verso la Ue. I Paesi “meridionali” – in prima fila l’Italia per la sua posizione geografica – saranno alle prese con flussi sempre più consistenti dall’Africa e dal Medio Oriente. Quelli del Nord Europa (in prima linea, le Repubbliche baltiche e la Scandinavia) dovranno fare i conti con i poveri della Federazione Russa.Sinora nella Ue, in questo delicato settore, la “non politica” ha prevalso sulla politica. Basta scorrere i siti dell’Unione per leggere che «da oltre venti anni, i Paesi membri stanno lavorando per armonizzare le loro politiche di immigrazione e di asilo». Qualche progresso in verità è stato fatto, specialmente in materie amministrative come le procedure per i visti. Grazie soprattutto all’iniziativa italiana, l’argomento è stato posto all’ordine del giorno dei Consigli dei capi di Stato e di governo di ottobre e dicembre 2013. La Commissione Europea (Ce) ha prodotto un rapporto con 28 raccomandazioni, in gran misura frutto di buon senso. Al Consiglio del 19-20 dicembre non c’è stata l’attesa svolta; la sostanza dei problemi è rinviata al secondo semestre 2014, quando l’Italia avrà la presidenza e dovrà mediare piuttosto che formulare proposte stringenti.La sostanziale impolitica europea non deve peraltro venire usata come pretesto per rinviare quanto è e resterà di competenza nazionale, ad esempio, la normativa sulla cittadinanza e la gestione dei flussi di immigrazione. Anzi, quanto prima si prendono misure di nostra spettanza, tanto più si “spinge” il resto della Ue. Giuseppe PennisiCultura - Tra occasioni perse e voglia di cambiareÈ finita, per il momento, con uno schianto solenne  dopo un anno di piagnistei. A Parigi, il giorno di Santo Stefano, un teatrante di origini italiane si lancia (moderatamente, ma si lancia) con la sua auto contro il cancello dell’Eliseo per denunciare il taglio delle sovvenzioni statali e dalle nostre parti viene da pensare: hai capito, i cugini d’oltralpe, che fino all’altro giorno traevano vanto dall’eccezione culturale. Se la passano male anche loro, a quanto pare...No, non sono i francesi che se la passano male. È la cultura che, dopo essere stata ridotta a genere di intrattenimento, fatica a trovare il suo posto nell’Occidente ex industrializzato. E in Italia va peggio che altrove, inutile farsi illusioni. Nel nostro Paese gli indici di lettura, già bassi, sono ulteriormente penalizzati da un’editoria che, nel tentativo di fare fronte alla carestia di fatturato, spinge ancora di più verso la monocoltura del best seller. In questo settore come altrove quello che manca è il progetto, la visione d’insieme. In una parola, manca la cultura. Che non è tecnica, ma pensiero della tecnica, anche e specialmente quando la tecnica in questione è di natura economica.Si sbaglia a pensare che ci sia una crisi della cultura così come c’è una crisi dei consumi. C’è o, meglio, all’origine di tutto c’è stata una crisi di cultura intesa come bene e impresa comune, come capacità di innovare nella tradizione andando al di là della mera (e spesso retorica) conservazione. In questo noi italiani abbiamo perso molte occasioni, in un passato anche abbastanza recente. Non abbiamo voluto affrontare, per esempio, il nodo del rapporto fra gestione pubblica e investimento privato, incuranti dell’assottigliarsi delle risorse finanziarie. Ci siamo inestarditi, da una parte e dall’altra, sulle questioni di principio, senza sforzarci di immaginare nuovi dispositivi, che fossero in grado di trasformare il mecenatismo in atto di responsabilità civile.Da qui i piagnistei, da qui ogni tanto uno schianto magari meno fragoroso di quello parigino, ma non per questo meno velleitario. Va avanti così da anni, ormai, e il timore di un 2014 di repliche non è, purtroppo, del tutto infondato. Guai, però, a convincersi che la tendenza sia irreversibile. Siamo stati i ragazzi-meraviglia del Rinascimento, noialtri, e all’epoca i governi non erano più stabili di oggi. Davvero non vogliamo arrischiare uno sforzo di fantasia? Davvero abbiamo deciso di arrenderci, proprio adesso che il mondo avrebbe un così disperato bisogno di bellezza? Alessandro ZaccuriAmbiente - Spiragli di luce nella Terra dei fuochiQuestione ambientale sempre più drammaticamente al centro della vita degli italiani, anche nel 2013, dallo scandalo della "terra dei fuochi" ai ricorrenti dissesti idrogeologici, figli dei mutamenti climatici ma ancor più della scarsa prevenzione e del colpevole sacco del territorio. I morti di tumore in Campania e i morti per frane e alluvioni dalla Liguria alla Toscana, dalla Puglia alla Sardegna pretendono interventi rapidi ma soprattutto finalmente strutturali. Qualcosa si è fatto nella giusta direzione grazie, soprattutto, all’impegno di alcuni ministri del governo Letta, come i responsabili dell’Ambiente, Andrea Orlando, e delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo.In questo senso va il decreto legge per la "terra dei fuochi" che giunge dopo una mobilitazione di un anno e mezzo alla quale Avvenire ha dato e ancora dà voce. Contiene il reato di incendio di rifiuti con pene pesanti e procedure per individuare con certezza e trasparenza i terreni inquinati e quelli indenni per non penalizzare la buona agricoltura di quei territori. Va sicuramente migliorato e in questo senso si è impegnato il segretario del Pd, Matteo Renzi. In particolare il contrasto alla fonte della produzione dei rifiuti, anche con iniziative di emersione dell’economia in nero, prima responsabile degli sversamenti illegali. E vanno stanziati nuovi fondi, certi e adeguati per mettere finalmente mano alle bonifiche. Quella dei fondi è anche questione centrale sul fronte del dissesto idrogeologico. Per mettere davvero in sicurezza il territorio servirebbero almeno 40 miliardi. Tanti ma questa è la vera grande opera, un sicuro investimento.La commissione Ambiente della Camera ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna il governo a stanziare 500 milioni l’anno. Ma nella legge di Stabilità sono comparsi solo 30 milioni che, successivamente, grazie ad altri provvedimenti, potrebbero arrivare a 180 in tre anni. Troppo pochi (così come sono pochi quelli per la sicurezza antisismica). Oltretutto come denunciato dallo stesso ministero dell’Ambiente, i fondi stanziati negli ultimi anni vengono spesi parzialmente e in ritardo da Regioni e Comuni, soprattutto per il "capestro" dei limiti del Patto di stabilità. Il premier Letta si è impegnato a chiedere alla Ue la possibilità di derogare, vedremo come si concretizzerà. Altrimenti anche l’ottimo disegno di legge sul consumo del suolo presentato dal governo correrà il rischio di non avere gli strumenti operativi. Dovrebbe invece essere approvato con rapidità, così come la proposta che finalmente introduce alcuni reati ambientali nel Codice penale, strumento preziosissimo per combattere ecomafie ed ecofurbi. Antonio Maria MiraCalcio - Un pallone sgonfio guarda al MondialePiù della Juventus, apparentemente così superiore da ammazzare il campionato quando ancora non è arrivato a metà. Più del Brasile, musichetta già stucchevole a cinque mesi dal via dei Mondiali, e che diventerà un tormentone da sorbire in tutte le salse. Più del Milan, unico superstite italiano abbarbicato come un naufrago alla Champions League che riprenderà a metà febbraio. Più dei prevedibili temi obbligati insomma, l’impressione è che il calcio che ci aspetta nel 2014 debba temere soprattutto se stesso. E l’incapacità di darsi un guizzo distraente in positivo. La realtà dei fatti che ereditiamo dall’anno che si chiude è desolatamente chiara: il nostro pallone è tecnicamente in caduta verticale, ha scarsissimo peso specifico a livello internazionale e anche esteticamente offre uno spettacolo sotto il minimo sindacale. In dodici mesi non si può sperare di spremere nettare da una rapa, specie se il panorama intorno non aiuta, tra i rigurgiti del Calcioscommesse e l’incancrenimento dei peggiori cori da stadio. Esistono però due varianti che possono far svoltare l’anno, o almeno aiutano a farlo sperare. La prima è di sostanza, ma anche di maniera. Perchè il nostro calcio può perdere partite e credibilità, ma almeno la faccia può e deve difenderla. E oggi l’immagine più evidente è quella del contorno, dei suoi stadi vietati e poi riaperti agli ultrà, dopo essere stati offerti per disperazione pure ai bambini. Con risultati non del tutto confortanti.Eliminare dalle Curve il labiale razzista, o “territorialmente discriminante”, come si chiama adesso, diventa essenziale. Perchè senza una platea presentabile non si può pensare nemmeno di iniziare a migliorare risultati e spettacolo. Non conta qui dire se le norme sinora applicate siano giuste o sbagliate. Conta invece la sensazione di ridicolo che emerge dal pietoso balletto di condanne e sospensioni, squalifiche e revisioni, nato intorno al problema della gestione degli ultrà. Il calcio ha tifosi pessimi in tutto il mondo, ma altrove non si ha notizia di vergogne simili a quelle delle nostre Curve. Chiedere come hanno fatto loro a difendersi, e imitare l’esempio degli altri campionati allora non sarebbe un’idea? L’altra variante capace di ribaltare il grigio pronostico sul 2014 si chiama, appunto, Mondiali. L’Eldorado promesso di ogni quattro anni è da sempre la “sanatoria” del pallone, raccatta attenzione e distrae al punto giusto, trasformandosi in una specie di amnistia in caso di vittoria (fu così dopo Germania 2006) o almeno di indulto, se non c’è sconfitta con vergogna. La Nazionale di Prandelli non promette mirabilie, è attaccata a filo doppio alle creste di Mario Balotelli, talento sregolato e apparentemente non in grado di regolarsi. Ma intanto c’è, e non averlo sarebbe peggio. L’anno nuovo del pallone è (anche) nei suoi piedi. Purtroppo o per fortuna, questa è una questione di punti di vista. Alberto Caprotti Lavoro - I giovani sono la priorità: il piano c'è ma serve unitàUn milione e trecentomila. È il numero che fotografa l’emergenza sociale italiana, l’assillo che il governo si porterà dietro nel nuovo anno. Tanti sono in Italia i giovani sotto i 25 anni che non lavorano e non studiano, i cosiddetti Neet, espressione inglese che sta per Not (engaged) in Education, Employment or Training. Sono loro il simbolo più drammatico della questione occupazionale, che nel nostro Paese ha assunto risvolti pesantissimi: 4 under 30 su 10 non hanno un impiego, nei cinque anni della Grande Crisi il livello di disoccupazione giovanile è passato dal 18 al 40%. Non è vero che le imprese non assumano più, ma è un fatto che, per farlo, i tempi di attesa si siano allungati di molto, con formule contrattuali che hanno finito per alimentare precarietà e smarrimento. Tutto questo, a sua volta, ha generato un sentimento di sfiducia generalizzata, cioè la medicina peggiore per uscire dalla recessione.Di certo, non potremo nutrirci a lungo di annunci e previsioni ottimistiche com’è accaduto negli ultimi tempi. Se la "ripresina" che si intravede all’orizzonte non sarà accompagnata da nuove opportunità, l’Italia non riuscirà a invertire la rotta. Molte speranze sono (state) riposte nella cosiddetta Garanzia Giovani, il piano europeo destinato a garantire nello stesso tempo una formazione adeguata alle nuove generazioni e un sostegno attivo per orientarsi nel mondo del lavoro. In palio c’è l’accesso ai fondi comunitari (che sono importanti, ma non decisivi) percorsi di alternanza studio/lavoro, progetti di apprendistato, di tirocinio e di auto-imprenditorialità. Non siamo così lontani dal modello tedesco che tanti benefici ha innescato nella principale economia europea, ma è inutile dire che per fare un passo avanti nella stessa direzione occorrerà, oltre all’impegno di Palazzo Chigi, anche un’assunzione di responsabilità di tutte le parti sociali. Ben venga allora anche il confronto sul contratto unico, a patto che serva per accelerare sul percorso della ripresa. Nello stesso tempo, andranno sbloccate (si spera in modo definitivo) centinaia di vertenze che pendono ormai da anni sui tavoli dell’esecutivo: le risposte interessano decine di settori industriali e centinaia di migliaia di lavoratori in mobilità, questa volta di tutte le età. E con loro, le loro famiglie e il futuro di tante comunità. Diego MottaFisco - Nuove tasse, mini-tagli e un prelievo al 44,4%Anno nuovo, ma Fisco vecchio. Il 2014 porterà la tassazione in Italia a un nuovo primato: il 44,4% di pressione fiscale. Non è un caso, quindi, che già gennaio sarà segnato da una scadenza: il 24 gennaio (posticipato rispetto all’originario 16) gli italiani dovranno andare in cassa per pagare la mini-rata dell’Imu, residuo di quell’imposta la cui abolizione (alla fine solo parziale) ha caratterizzato gran parte del 2013. Come dire: se il buongiorno si vede dal mattino... Questo mini-conguaglio inaugura un anno pieno di novità nella tassazione, a partire da quella immobiliare. Messo un punto (si spera) al vorticoso valzer di sigle, i proprietari dovranno poi confrontarsi con un sistema nuovo ma che, al di là della facciata, ricalca molto quello vecchio: ora, in versione service tax, ci sarà la Iuc (Imposta unica a beneficio dei Comuni), composta di una parte legata al possesso (l’Imu, che sopravvive sulle seconde case), della Tasi sui "servizi indivisibili" e della Tari sui rifiuti. Il problema è che di questa struttura c’è ancora solo l’impalcatura. A oggi, gli italiani ancora non sanno come e quanto dovranno pagare. E un altro aumento è in agguato: quello delle aliquote Tasi, come prospettato pochi giorni fa dal governo per riportare le detrazioni sulla prima casa e sulle famiglie numerose (sulle quali, però, l’ultima parola spetterà ai Comuni) allo stesso livello di quelle attive sull’Imu 2012. Assicurazioni, però, perché di scritto ancora non c’è niente.Molte altre, tuttavia, sono le novità. Arriva un primo mini-taglio dell’Irpef sul lavoro, con un aumento delle detrazioni di circa 200 euro l’anno per i redditi fino a 28mila euro annui (col picco fra 15 e 18mila) e progressivamente sempre più leggero fino ai 55mila. Ad alimentarlo ci sarà anche il nuovo Fondo costituito con i proventi della revisione della spesa e della lotta all’evasione. Di Web tax s’è molto discusso, ma è slittata a luglio. E la Tobin tax (un semi-flop nel 2013)? Per ora resta com’è. In fondo è una tassa (anche se chiamata "contributo di solidarietà") anche il prelievo sulle pensioni superiori ai 90mila euro l’anno, che colpirà alla fine pure i vitalizi dei politici. Cambiano anche i pagamenti per gli affitti: dovrà essere garantita la tracciabilità, quindi stop all’uso del contante (ma funzionerà?). Altro capitolo rilevante riguarda il mini-condono sulle vecchie cartelle Equitalia (la quale sarà chiamata a un grosso sforzo organizzativo, che rischia di rallentare la normale attività di riscossione): entro il 28 febbraio si potrà pagare l’importo in unica soluzione, senza interessi di mora.Cambia anche il Fisco in banca: per la patrimoniale sui depositi titoli l’aliquota sale al 2 per mille, ma scompare la soglia minima di 34,20 euro che penalizzava i piccoli possessori di Bot. Tante novità, quindi, forse un po’ difficili da metabolizzare. Eugenio FatiganteCarceri - Obiettivo: battere il sovraffollamentoPer il sistema giudiziario e carcerario italiano si chiude, purtroppo, un anno simile a quelli precedenti, lastricato di ritardi, carenze, omissioni, sovraffollamento, costi umani ed economici elevatissimi, drammi e tragedie che le statistiche non possono rendere a pieno. Nelle carceri il 2014 è atteso come un anno di svolta, se non per il «dovere morale» di provvedere a una situazione vergognosa, più volte sottolineato dal presidente Giorgio Napolitano, almeno perché sul calendario figura una data cerchiata in rosso: è il 28 maggio. Se entro quel giorno non saremo riusciti a disinnescare la mina rappresentata dall’ultimatum della Corte europea per i diritti dell’uomo sul sovraffollamento degli istituti penitenziari, lo Stato sarà costretto a risarcire con centinaia di milioni di euro tutti i detenuti che hanno fatto ricorso a Strasburgo.Governo e Parlamento hanno perciò meno di cinque mesi per agire. Visti i tempi, le tensioni e le frammentazioni tra le forze politiche, non sembra realisticamente praticabile la strada dell’indulto e dell’amnistia che era stata indicata (insieme a riforme strutturali) dal capo dello Stato nel suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre scorso. A più di due mesi da quell’intervento, c’è da registrare il decreto varato dieci giorni fa dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, che tra scarcerazioni anticipate, affidamento terapeutico dei reclusi tossicodipendenti ed espulsioni di condannati extracomunitari, dovrebbe far diminuire di qualche migliaio le presenze nelle celle.È ancora poco, se si considera che gli ultimi dati raccontano di 65mila persone nelle 206 prigioni nazionali, a fronte di una capienza massima di 47mila. Per questo l’esecutivo, che per contrasti interni aveva nei giorni scorsi preferito lasciare al solo Parlamento il tema della custodia cautelare, starebbe per varare un disegno di legge in materia. Il tema è strategico, perché un terzo dei detenuti non ha una condanna definitiva e la metà di questi è addirittura in attesa di primo giudizio. Ora, tramite l’introduzione di maggiori garanzie per l’indagato, si tenterebbe di abbattere i numeri della custodia cautelare.Ma contemporaneamente bisognerebbe velocizzare l’intero processo penale e mandare avanti il disegno di legge, varato dal Consiglio dei ministri nello stesso giorno del decreto sulle carceri, sullo snellimento dei procedimenti civili. L’eccessiva durata è, infatti, causa di migliaia di ricorsi ogni anno in base alla legge Pinto (89/2001), con altri soldi da sborsare per lo Stato (almeno in via teorica, perché nel 2011 e nel 2012 gli stanziamenti sono stati pari ad appena il 10% del debito accumulato) e altri fascicoli da smaltire per le Corti d’appello e per la Cassazione. Danilo PaoliniRiforme - Una corsa a ostacoli per cambiare il PalazzoIl 2013 doveva essere l’anno della riforma della Costituzione e della legge elettorale. Le premesse c’erano tutte: la nascita del governo Letta, con la formula delle larghe intese, gli stimoli di Giorgio Napolitano (che aveva condizionato l’accettazione del suo secondo mandato proprio al clima costituente), le dichiarazioni incoraggianti dei principali leader. E a ben vedere anche i primi passi erano stati promettenti: la commissione dei saggi, con costituzionalisti ed esperti di diverso orientamento, che ha condotto un lavoro egregio di ricognizione e proposta su molti capitoli del nostro ordinamento. Fino all’approvazione, parziale, della riforma temporanea dell’articolo 138 della Costituzione – che regola proprio il procedimento di revisione della Carta – in modo da permettere un iter più spedito delle riforme alle Camere.Insomma anche a chi aveva vissuto da vicino il fallimento seriale di tutte le Bicamerali per le riforme (la Bozzi, la De Mita-Iotti e la D’Alema) sembrava che questa potesse essere davvero la volta buona, per regolare i conti con il bicameralismo perfetto, fonte di lentezza e di instabilità. Per diminuire il numero dei parlamentari, tra i più alti in Europa. Per sistemare, una volta per tutte, i disastri compiuti con la frettolosa riforma del titolo V della Costituzione. Per definire meglio i poteri del presidente del Consiglio e renderlo più autorevole. Per togliere di mezzo le Province, ma in un quadro convincente ed efficace di governo del territorio. E, infine, per spazzare via dalla storia politica del nostro Paese quel monstrum della legge Calderoli, la più brutta legge elettorale mai escogitata. Prepotente e partitocratica. Sostituendola con una capace di garantire, insieme, governabilità, rappresentatività e possibilità di scelta da parte degli elettori.All’incrocio decisivo, però, tra le riforme, il governo e la decadenza di Berlusconi, le speranze sono, come è noto, collassate. La ripresa delle ostilità in grande stile, la campagna elettorale permanente che ne son seguite, hanno ricacciato in soffitta il clima costituente e tutti i buoni propositi. Tanto che il 2013 più che essere l’anno dell’avvio della Terza Repubblica, è stato una parte della coda velenosa (e ancora non si sa quanto lunga) della Seconda. La Corte Costituzionale ha per fortuna messo in mora Porcellum e Parlamento. E una legge elettorale nuova ci dovrà per forza essere nel 2014. I più ottimisti sperano di portare almeno a casa, oltre alla legge elettorale, la riforma del bicameralismo, la cancellazione delle Province e la riduzione dei parlamentari. Un programma ridotto rispetto alle premesse iniziali, ma non per questo poco ambizioso o inefficace. Giovanni Grasso