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Teheran. Renzi in Iran, un appello per i diritti umani

Luca Liverani martedì 12 aprile 2016
Chi sperava che l’elezione nel 2013 di Hassam Rohani come presidente della Repubblica islamica potesse migliorare il rispetto dei diritti umani in Iran s’è dovuto ricredere. Sotto la presidenza del 'moderato' Rohani - tra il 1° luglio 2013 e il 31 dicembre 2015 - sono state eseguite almeno 2.214 condanne a morte, di cui 970 solo nel 2015 (addirittura 1.084 secondo la Abdorrhman Borounmand Foundation ). Il 20% in più rispetto alle 800 dell’anno precedente, oltre il 40% in più delle 687 del 2013. Alla vigilia della visita di Stato del presidente del consiglio Matteo Renzi, Nessuno tocchi Caino presenta un impressionante e dettagliato dossier. E lancia un appello - al premier di un Paese capofila nella battaglia per la Moratoria universale contro la pena di morte - di «porre al centro di ogni incontro con i massimi rappresentanti iraniani la questione del rispetto dei diritti umani universalmente riconosciuti». A sottoscriverlo una ventina di scrittori, artisti, registi e intellettuali, tra cui Roberto Saviano, Susanna Tamaro, Dacia Maraini, Marco Bellocchio, Erri De Luca, Sandro Veronesi, Liliana Cavani, Moni Ovadia, Goffredo Fofi, Oliviero Toscani.Nell’appello si ricorda al premier Renzi di 'non velare' - come si fece con le nudità delle statue durante la visita a Roma di Rohani - le sistematiche violazioni dei diritti: cioè «l’allarmante uso della pena di morte», «la discriminazione delle minoranze religiose» Bahai e cristiani, «la persecuzione degli omosessuali », «l’invocazione della distruzione dello Stato di Israele », «gli arresti di attivisti e oppositori», «la discriminazione delle donne». E anche Amnesty International scrive a Renzi perché «manifesti alle autorità dell’Iran la preoccupazione per l’incessante uso della pena di morte nel paese».Il rapporto precisa che i numeri «sono stati segnalati da fonti non ufficiali (ong o altre fonti interne iraniane)» e che «il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore». Delle 970 esecuzioni del 2015, 365 (oltre il 37%) sono stati segnalate da fonti ufficiali e le altre 605 (il 62%) da fonti non ufficiali. I reati che hanno motivato le esecuzioni sono traffico di droga (632, il 65%), omicidio (202, quasi il 21%), stupro (56, poco meno del 6%), reati politici e terrorismo (15, più dell’1%), rapina, estorsione, 'corruzione in terra' (22, il 2%), non specificati (43, oltre il 4%). Quest’anno, al 23 marzo 2016, sono state almeno 60 le condanne eseguite. Il metodo preferito per applicare la Sharia in Iran è di gran lunga l’impiccagione, non di rado con esecuzioni pubbliche a scopo 'educativo', almeno 57 nel 2015. Il boia non risparmia i minorenni. L’anno scorso almeno 3 le condanne in aperta violazione della Convenzione sui diritti del fanciullo che anche l’Iran ha ratificato. In Iran la morte per impiccagione non avviene per frattura delle vertebre cervicali, provocata dal cappio che si stringe istantaneamente sul lato del collo, per la caduta del condannato. Il cappio viene stretto issando il condannato con una gru, provocando una morte lenta e dolorosissima. A volte anche pene supplementari: fustigazione o amputazione di arti. Con l’accusa di terrorismo vengono condannati a morte iraniani colpevoli di reati politici o di opinione. Nel 2015 è successo ad almeno 15 persone, cui viene prima amputata mano e piedi. Molti appartenevano alle minoranze etniche o religiose: azeri, Kurdi, baluci e ahwazi.In Iran l’isla sciita è religione di Stato. Ufficialmente sono «pienamente rispettate  » solo tre altre religioni: zoroastriani, cristiani ed ebrei. Ma il proselitismo è vietato e le conversioni sono reato. I missionari cristiani vengono incarcerati ed espulsi. Pugno di ferro con i Bahai, definiti «setta politica »: dalla rivoluzione islamica del 1979 ne sono stati giustiziati almeno 200. Al di là della pena di morte, la Sharia prevede la fustigazione per chi beve alcolici o partecipa a feste miste con maschi e femmine. Cento frustate per i rapporti tra persone non sposate.In Iran vige la pratica del 'prezzo del sangue': un omicida può salvarsi dal patibolo se la famiglia della vittima lo persona e a questo punto l’assassino paga un rimborso ai parenti che può essere di diverse decine di migliaia di euro. Va sottolineato che la somma per una donna ammazzata è la metà che per un uomo. E se l’ucciso è un Bahai, la famiglia non ha diritto al 'prezzo del sangue'. Apostasia e blasfemìa sono reati capitali. Per i musulmani è illegale convertirsi, mentre è permesso il contrario. Nel 2015 un giovane è stato condannato a morte perché ha scritto un libro in cui mette in dubbio un dogma sciita. Per l’adulterio è prevista la lapidazione, ma non ci sono dati. Dal 1980 almeno 150 casi, eseguiti in segreto in carcere, nel deserto o nei cimiteri.