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Roma. Asse Meloni-Haftar sui migranti. Ma il generale libico cosa chiede in cambio?

Antonio Maria MIra venerdì 5 maggio 2023

Migranti su un barchino

Due ore di faccia a faccia a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e il generale libico Khalifa Haftar. Al centro del colloquio tra il presidente del Consiglio e il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), “uomo forte” della Cirenaica, la «crescita senza precedenti» degli arrivi degli immigrati in Italia, in particolare proprio dalle coste del territorio sotto il controllo dell’ex ufficiale dell’esercito di Gheddafi, sostenuto da Egitto e Russia.

Una missione importante, quella romana. Mercoledì sera l’incontro col vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ieri con Meloni, e poi coi ministri della Difesa, Guido Crosetto, e dell’Interno, Matteo Piantedosi. Anche Crosetto avrebbe affrontato il tema dell’aumento del flusso di migranti attraverso la rotta libica ma anche la destabilizzazione della Libia operata dalla brigata Wagner. Ricordiamo che la premier era stata a Tripoli il 28 gennaio con Tajani e Piantedosi, per una prima presa di contatto con le diverse autorità libiche, ma non era riuscita a spostarsi nell’area di Bengasi dove ha le sua basi Haftar. Il generale è così venuto lui, calando sul piatto il tema immigrati.

In cambio di cosa? Fonti di Palazzo Chigi parlano della conferma da parte di Meloni del sostegno italiano all’azione dell’Onu in Libia per la rivitalizzazione di un processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023. E avrebbe anche colto l’occasione per un confronto sulle situazioni di destabilizzazione in Libia e nei Paesi confinanti, con particolare preoccupazione per il conflitto in Sudan. Ma sicuramente sono stati i flussi migratori il tema centrale.

I numeri del ministero dell’Interno confermano che la rotta dalla Cirenaica è particolarmente “calda”. Infatti circa 10mila persone sono arrivate nei primi quattro mesi dell’anno dai porti dell’area controllata da Haftar. Quasi il doppio di quelli invece partiti dalla zona controllata dal governo di Tripoli.

La seconda rotta quest’anno, come quantità, dopo quella dalla Tunisia che ha superato le 24mila persone.

Una rotta però molto più lunga e ad alto rischio, sulla quale fino ad ora erano intervenute solo le imbarcazioni della Guardia costiera e della Finanza. Da alcuni giorni su questa rotta si sono spostate anche alcune navi delle ong. Dalla Cirenaica venivano i 168 immigrati soccorsi dalla Ocean Viking e fatti sbarcare a Civitavecchia, i 35 salvati dalla Life support di Emergency fatti arrivare a Livorno, i 336 soccorsi dalla Geo Barents oggi a La Spezia.

E proprio gli interventi delle Ong hanno fatto emergere un’ulteriore novità. Fino ad ora su questa rotta erano arrivati solo pescherecci con centinaia di persone a bordo, poi fatte sbarcare in Calabria o nella Sicilia orientale. Solo la Geo Barents ha soccorso un peschereccio, in tutte le altre occasioni si è trattato di barchini in legno o vetroresina con 40-50 persone.

Impossibile che abbiano fatto l’intero viaggio, che dalla Cirenaica dura anche più di 5 giorni. È molto probabile che i trafficanti facciano ora trainare i barchini da “navi madri”, da riutilizzare per altri viaggi. La conferma di gruppi ben organizzati. Lo raccontano anche le persone arrivate in Calabria nelle scorse settimane. A rivelarcelo sono Zakaria, siriano, e Haseeb, pachistano, giovani mediatori culturali, che operano a Roccella Jonica con la Caritas della diocesi di Locri-Gerace e anche con le forze dell’ordine.

Hanno raccolto le storie degli immigrati e ci fanno un quadro drammatico. «I trafficanti sono libici, gruppi organizzati e armati, violenti, sono col governo di Bengasi, per questo non hanno problemi né paura». Gli immigrati arrivano via terra dall’Egitto, o in aereo dalla Turchia. «Una prima tappa la fanno a 50 chilometri dal mare, poi su auto li portano sulla costa, chiudendoli in grandi capannoni, anche in più di 500».

Tutto il viaggio è in mano alla stessa organizzazione, sia quello via terra che via mare. E può costare fino a 10mila euro. «Usano i pescherecci con centinaia di persone perché non temono di essere individuati, nessuno li ferma». E comunque non si espongono neanche ai rischi del lungo viaggio. «Non vanno mai i libici. Gli scafisti al 90% sono ragazzi che non hanno soldi per il viaggio e se lo pagano così. Ma questo non vuol dire che non abbiamo responsabilità».