Attualità

Il nodo. Il grido dei genitori-assistenti: la politica pensi pure al «durante»

Alessia Guerrieri giovedì 4 febbraio 2016
Il tema ritorna ciclicamente, ma le proposte di legge finiscono poi sempre sepolte nei meandri del Parlamento. Eppure il riconoscimento della figura del caregiver familiare – le persone che ogni giorno si dedicano all’assistenza di un familiare non autososufficiente, circa 9 milioni nel nostro Paese – e la possibilità per loro di anticipare il pensionamento per dedicarsi alla cura, ci vedono di nuovo fanalini di coda in Europa. Dietro persino alla Grecia, che li manda in pensione con 25 anni di contributi. Non a caso «di fronte all’assordante silenzio della politica italiana» il coordinamento nazionale famiglie disabili gravi, che ieri ha organizzato a Montecitorio un incontro in materia per «dare la sveglia» alla po-litica, si è rivolto proprio a Bruxelles con una petizione che ha superato le 30mila firme per riconoscere tutele giuridiche e previdenziali al caregiver familiare anche in Italia. Quel che vivono per anni questi genitori lo si comprende subito dalle parole di Claudio Mussi, papà di Matteo un ventenne non vedente epilettico, che non è proprio potuto venire a Roma da Alessandria «perché non sono riuscito a prendere un permesso al lavoro e poi non potevo lasciare mio figlio solo a casa», visto che la moglie è in ospedale. «A noi chi ci pensa? Allo Stato non importa nulla – continua Claudio – chiedo solo alla politica di muoversi con questa legge, che è una legge di dignità». A 53 anni, da venti si prende cura del figlio, eppure pur avendone 35 di contributi «la pensione è ancora lontana». E a mettere il suo ragazzo in un istituto non ci pensa neppure, perché «mio figlio sta bene, suona la batteria, fa mille attività ». E allora perché dedicare molti fondi ai centri di ricovero (costano allo Stato centinaia di euro al giorno) e riservare invece somme residuali al sostegno delle stesse persone a casa propria? Il grido di questo padre fa eco alle parole di Maria Simona Bellini, presidente del coordinamento, madre e moglie di disabili, che è riuscita a mantenere il posto solo grazie al telelavoro. «Cosa vogliamo? – è l’esordio – Che il Parlamento dopo anni si renda conto delle tutele che spettano a chi si prende cura dei propri familiari disabili ». E per tutele s’intendono «semplicemente i diritti umani, quello del riposo, della vita sociale, perché ci sentiamo come agli arresti domiciliari ». Un mero riconoscimento del ruolo infatti, come prevede l’ultima proposta di legge presentata a metà novembre alla Camera (n.3414 con primi firmatari i democratici Iori e Gnecchi), è «una medaglietta sul petto che non ci basta, vogliamo avere un sostegno per vivere una vita degna di questo nome». Assistere un malato grave stanca e logora, tanto. Persino la medicina lo ha dimostrato. Secondo il premio Nobel 2009 Elisabeth Blackburn infatti, ricorda alla fine Bellini, «gli aspetti sanitari e psicologici a cui è sottoposto il caregiver ne riducono le aspettative di vita fino a 17 anni».  Eppure in passato, più volte si è cercato di favorire il pensionamento dei caregiver familiari. Come nel 2010 quando la Camera approvò la norma che consentiva tra l’altro di andare in pensione a chi aveva maturato 30 anni di contributi e almeno 18 anni di assistenza continuativa a un disabile. Una norma poi bloccata in commissione Bilancio al Senato, perché non si è voluto garantire le coperture con un aumento delle accise sui superalcolici. Nonostante ciò, la riforma Fornero ha successivamente aumentato l’età pensionabile anche per loro, senza prevedere alcuna forma di salvaguardia. A marzo di quest’anno, infine, Sel ha presentato un ddl (n.2918 a firma Melilla e Nicchi) per introdurre – per un triennio in via sperimentale – la possibilità di accedere alla pensione a 60 anni e 20 anni di contributi per i lavoratori pubblici e privati che si sono dedicati ad assistere in via continuativa un familiare disabile al 100% per almeno dieci anni. Un testo nemmeno calendarizzato.