Attualità

IL DRAMMA. E sull'isola va in scena il calvario dei parenti

Lucia Bellaspiga giovedì 19 gennaio 2012
Il grande traghetto che collega la costa toscana con l’Isola del Giglio passa accanto alla nave Concordia e approda nel porto. In estate scarica folle di turisti, ora lascia scendere il dolore muto di tre volti scolpiti nella stessa smorfia di dolore. Sono la madre, il padre e la sorella di Erika Soriamelina Fani, la giovane peruviana che faceva parte dell’equipaggio e di cui non si sa più nulla. Arrivano spaesati dall’altra parte del mondo in quest’isola che nemmeno sapevano esistesse. Scortati da forze dell’ordine e squadre di soccorso, si infilano in una delle tende della Protezione civile, da cui usciranno ore dopo con una nuova rabbia negli occhi: forse gli hanno detto che le speranze sono sempre più sottili. «Questa tragedia è successa per colpa di un uomo», dice d’un fiato il padre, come se nello sfogo con i giornalisti potesse stemperare il senso di un’ingiustizia subita e insopportabile. «La mia ragazza non si trova e il comandante Schettino è già a casa sua». Non se ne andrà fino a che non sarà ritrovata, «viva o morta». A sera torna sulla terraferma con la sua famiglia, e il traghetto sfiora di nuovo lo scafo sdraiato nei pressi del quale, da qualche parte, c’è sua figlia, forse nell’acqua nera, se è vero, come ha saputo da testimoni, che la sua scialuppa si è rovesciata. E un’altra notte passerà. «Queste cose succedono solo in Italia», sbotta anche un ragazzo indiano. «Sono qui per mio fratello», dice, e la legittima speranza sfocia nell’utopia: «Perché tutti gli altri indiani dell’equipaggio si sono salvati? Solo lui risulta disperso, dunque magari è stato accolto dagli isolani, forse è ferito, forse ha sbattuto la testa e non ricorda... Sono qui per cercarlo». A Bombay lo aspettano una moglie e un bimbo di tre anni.Oscilla ancora il numero dei passeggeri mancanti, nessuno sa dire quante vite quella nave si sia portata via, e non basta la buona notizia di una donna tedesca rintracciata in Germania per far tirare il fiato. Passa frettolosamente una giovane donna, il volto distrutto dal dolore, e non occorrono conferme ufficiali quando ipotizziamo che sia la mamma di Dayana, la bimba di cinque anni sparita insieme al papà. È lei? Chiediamo a un uomo delle Fiamme Gialle, che non risponde ma ci guarda fisso e scuote la testa: «Povera anima, una ragazzina così piccola... E non si trova proprio, chissà in che diavolo di parte sta di quella maledetta nave».La chiesa del Giglio suona le campane, è quasi l’ora della Messa. Don Lorenzo Pasquotti è in piedi sulle scale, non ha più chiuso le porte dalla sera di venerdì, quando dal mare ha visto arrivare migliaia di naufraghi e ne ha accolti a centinaia. «Avevo panettoni e caramelle, poi ho cercato coperte, vestiti, tutto. Gli ultimi sono arrivati verso le 3 della notte, erano i ragazzi dell’equipaggio», loro davvero non avevano abbandonato la nave. Sono passati i giorni ma la chiesa dà ancora ricovero e consolazione. Josè, 50 anni, messicano del Texas, è qui per pregare: «È la sola alternativa all’odio». Lui non era dell’equipaggio, era un turista della Costa. Ma ancora non se n’è voluto andare.