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Cifre. Perché l'Italia non è un campo profughi. Sbarchi, costi, rimpatri: i veri numeri

Daniela Fassini martedì 5 giugno 2018

Un barcone di migranti in fuga attraverso il Mediterraneo (Marina militare / Ansa)

Mentre nel Mediterraneo si continua a morire, sulla terraferma tengono banco annunci e propositi di riforma del sistema migratorio da parte del nuovo governo italiano. Sotto la lente ci sono 500mila migranti irregolari (secondo i dati Ismu), oggi in Italia, dopo aver attraversato l’inferno libico e il mare per fuggire dalle guerre o da una vita in miseria. Migranti chee hanno finito per trasformare l’Italia, secondo le dichiarazioni rilasciate dal nuovo ministro dell’Interno domenica a Pozzallo, in un grande «campo profughi». Ma è davvero così? Ecco cosa dicono i numeri ufficiali.

Sbarchi in calo del 78%

Sono 11 mesi consecutivi (da quando cioè Italia e Ue hanno deciso di addestrare la guardia costiera libica per fermare i flussi) che permane il trend in diminuzione degli sbarchi. Nei primi cinque mesi dell’anno gli arrivi si sono attestati a quota 13.430, il 78% in meno dello stesso periodo del 2017. Se si fa riferimento a quelli provenienti dalla Libia, la diminuzione è ancora più consistente (-84%). Secondo le ultime stime dell’Onu, sono 660 i migranti morti quest’anno mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo. Più della metà (385) ha perso la vita nella rotta del Mediterraneo centrale, quella che parte dalla Libia e arriva sulle coste italiane.


Tre miliardi per i rimpatri

Rimandare in patria i migranti sbarcati sulle nostre coste non solo costa, ma richiederebbe quasi un secolo. Secondo i dati Frontex, gestire una singola pratica di rimpatrio ha un costo medio di 5.800 euro che comprende il volo di linea e l’accompagnamento della persona nel paese d’origine. Se si stima che a oggi, in Italia, ci sono circa 500mila immigrati irregolari, un rimpatrio di massa arriverebbe a costare pertanto quasi 3 miliardi di euro. Ma la difficoltà più grande riguarda anche la possibilità di stringere accordi di riammissione con i Paesi del Nord Africa e di farli rispettare. Senza questi, un migrante rimpatriato non viene fatto rientrare nel proprio Paese di origine. Per quanto riguarda inoltre la tempistica, numeri alla mano: se nel 2017 sono stati circa 6mila i migranti rimpatriati, considerando i 500mila "irregolari" sarebbero necessari 83 anni per rivederli tutti "a casa loro".

La spesa per i migranti

Quando parla di «5 miliardi di euro», il costo che ammonta per l’accoglienza e la gestione dei migranti sbarcati sulle nostre coste, Salvini fa riferimento alle cifre contenute nel Documento di economia e finanza (Def), lo strumento con cui il governo stabilisce le linee guida da adottare per la finanza pubblica, su base triennale. Nel documento sono anche indicate le previsioni sui costi da sostenere per l’accoglienza dei migranti nel 2018, considerando anche il calo avvenuto a partire dal 2017. La Corte dei Conti ha evidenziato che, per quanto riguarda il 2016, il costo medio per l’accoglienza di un singolo migrante va dai 30 euro ai 35 euro giornalieri. Inoltre, la pubblicazione stima che la gestione di ogni domanda di asilo sia costata in media quasi 204 euro, «senza calcolare i costi per le eventuali fasi di giudizio a cui gli immigrati, ricorrendo al gratuito patrocinio, hanno avuto la possibilità di accedere per impugnare i provvedimenti di diniego». Ma non tutti i 5 miliardi sono destinati all’accoglienza. Questa infatti rappresenta una componente importante (circa il 68 per cento), ma non l’unica, come scrivono gli analisti de Lavoce.info. Le nostre risorse sono impiegate infatti anche per il soccorso in mare, per l’istruzione e per l’assistenza sanitaria. Senza contare che, di questi 4,6 miliardi, 80 milioni corrispondono a contributi dell’Unione europea. In conclusione, per l’accoglienza dei migranti l’Italia, spende effettivamente, dai 3 ai 3,5 miliardi di euro.

Il sistema (complesso) dell'accoglienza. Tutte le sigle dell'ospitalità

Il sistema nazionale di accoglienza dei migranti (si stimano oggi intorno alle 500mila presenze) è articolato in tre fasi che prevedono l’impiego di specifiche strutture: gli hotspot, i cosiddetti Cara e i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Poi c’è il sistema Sprar, il Servizio centrale di protezione per richiedenti asilo. Il sistema di seconda accoglienza che viene attivato dagli enti locali in collaborazione con il Terzo settore. Attualmente sono appena 1.200 (su oltre 8mila) i Comuni coinvolti nel sistema.

Hotspot Gli hotspot sono luoghi di sbarco attrezzati, attivati per aderire agli impegni assunti con la Commissione europea. Negli hotspot si svolge la prima fase relativa a tutte le operazioni di soccorso, di prima assistenza sanitaria, di pre-identificazione e fotosegnalamento, di informazione sulle procedure dell’asilo e della relocation. Attualmente sono situati a Lampedusa (parzialmente disabilitato negli ultimi tempi), Pozzallo, Trapani e Taranto. Nei porti di Messina e Palermo, a seconda delle emergenze, vengono allestite strutture mobili con tende che funzionano come veri hotspot temporanei.

Cara I Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione e/o all’esame della domanda d’asilo da parte della competente Commissione Territoriale, si trovano a Isola Capo Rizzuto in Calabria, Gradisca d’Isonzo (vicino a Gorizia e che doveva diventare un Cpr), Caltanissetta, Foggia, Brindisi, Bari, Mineo. A parte il caso di Monastir, a 15 chilometri da Cagliari, che funziona sia come centro per i richiedenti asilo, ma che viene utilizzato anche come primo soccorso per gli sbarchi in Sardegna. I Cara sono gestiti dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture, che appaltano i servizi dei centri a enti gestori privati attraverso bandi di gara. L’inserimento del richiedente asilo è spesso minato dal fatto che queste strutture di prima accoglienza si trovano isolate dai centri urbani e senza servizi di collegamento e dal fatto che mancano i posti in seconda accoglienza, quelli della rete Sprar.

Cpr I Centri di permanenza per il rimpatrio (ex Cie) sono cinque: Torino (Settimo torinese), Roma (Ponte Galeria), Bari, Brindisi e Caltanissetta per poche centinaia di posti rispetto ai complessivi 1.600 previsti a regime. L’obiettivo del nuovo governo è quello di un Centro di permanenza per il rimpatrio in ogni regione. Strutture «per chi non ha diritto a stare in Italia».

Cas I Cas, Centri di accoglienza straordinaria, accolgono in prima istanza chi arriva via mare e funzionano nell’ipotesi in cui, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di migranti, i posti disponibili nelle strutture di prima o seconda accoglienza non siano sufficienti.

Sprar I centri della rete Sprar, un migliaio su tutto il territorio nazionale, sono le strutture in cui si realizza la seconda accoglienza per il raggiungimento, da parte dei richiedenti asilo, di un’autonomia individuale e una reale integrazione con l’attivazione di specifici progetti territoriali. Gli Sprar oggi hanno una capienza di 35.869 posti, di cui 3.488 per minori non accompagnati. Gli Sprar si trovano praticamente in tutte le regioni italiane e ospitano richiedenti asilo e rifugiati per la durata massima di un anno. È un modello di "accoglienza integrata", per il migrante ma anche e soprattutto per il territorio che lo accoglie. È dallo Sprar infatti che arrivano buone storie, di inclusione sociale grazie a piccoli grandi progetti, come gli orti sociali del Comune di Aidone e di Villarosa, in provincia di Enna o quella dei migranti che aiutano negli scavi archeologici nell’isola di Mozia, nel Comune di Marsala.