Attualità

I terremoti, l'Aids, la criminalità. Quelle risposte nate dalla creatività dei preti

Antonio Maria Mira domenica 27 giugno 2021

Il saluto dei ragazzi umbri dopo il terremoto

La prima casa famiglia per malati di Aids, le prime comunità per ragazzi emarginati e per i 'figli della ’ndrangheta', un nuovo modello per operare accanto alle popolazioni terremotate. Sono alcune delle opere innovative della Caritas, fin dai primi anni.

Dal Nord al Sud. Opere concrete realizzate da tre dei fondatori: don Luigi Di Liegro, don Italo Calabrò, don Giovanni Nervo. E partiamo proprio da quest’ultimo. Dopo il devastante sisma in Friuli del 6 maggio 1976, l’allora presidente della Caritas italiana, dopo essersi trasferito da Padova a Udine per meglio capire la situazione, ideò un progetto per coinvolgere le diocesi in una rete di solidarietà e di intervento esemplare e duratura. Nacquero così i gemellaggi fra 88 parrocchie terremotate e altrettante diocesi. «Non tanto per mandare soldi o altre aiuti – spiegò don Giovanni –, ma perché a rotazione un gruppo di volontari andasse a vivere con loro, per condividere le loro difficoltà». Si realizzò così in ogni paese, anche il più piccolo, un 'Centro della comunità', un prefabbricato che potesse rispondere a tutte le necessità di incontro della comunità. Nervo così lo spiegava: «È stata ed è una grande esperienza di comunione ecclesiale. Questo granello di senape potrebbe diventare un grande albero se questa esperienza di comunione, di condivisione di beni, tempo, persone, si estendesse ad altre situazioni di difficoltà».

Don Giovanni Nervo, una delle figure simbolo - Archivio Avvenire

Nel 1976 don Giovanni Nervo ideò durante il sisma del Friuli i Centri della comunità. «Una grande esperienza di comunione ecclesiale».

E infatti la Caritas intervenne in modo analogo in occasione del terremoto in Campania e Basilicata del 1980, con 132 diocesi gemellate con 119 località terremotate. Modelli esemplari che nel 1996 valsero a Nervo la laurea honoris causa in Economia da parte dell’Università di Udine alla cui nascita nel 1978 il sacerdote contribuì con forza, come concreto segno di rinascita.

Scendiamo nella Capitale dove il 5 dicembre 1988 apre a Villa Glori la prima Casa famiglia per malati di Aids in Italia. Un servizio voluto fortemente dal fondatore e direttore della Caritas diocesana, don Luigi Di Liegro. Erano i primi anni della terribile malattia, si moriva abbandonati. La Caritas aprì le sue porte in alcune strutture assegnate dal Comune di Roma. La casa dovette scontrarsi inizialmente contro la paura e i pregiudizi degli abitanti dei Parioli, il 'quartiere bene' dove si trova la storica villa. Ci furono manifestazioni di protesta, petizioni, ricorsi al Tar, tutti respinti. Don Luigi venne attaccato in modo pesante, addirittura minacciato. Senza arretrare di un metro perché, diceva, «stare attenti significa sporcarsi le mani dentro questa storia. Significa non privilegiare le oasi di pace, ma privilegiare invece i luoghi forti perché provocatori di solidarietà e di interventi radicali da parte nostra». Così dopo pochi giorni venne inaugurata una seconda Casa famiglia, la 'Don Orione', in un appartamento nei pressi di Piazza Campo dei Fiori, centro storico della città, che nel 2002 verrà trasferita anch’essa a Villa Glori, dove poi si è aggiunta una terza struttura intitolata proprio a don Luigi. In questo luogo di condivisione sono passati più di 500 malati, in gran parte accompagnati con amore e professionalità fino all’ultimo giorno. Attualmente possono ospitare fino a 27 persone e organizzano vari laboratori, oltre a incontri con le comunità esterne, momenti di riflessione comune. Davvero una realtà aperta, proprio come voleva don Luigi. «Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere».

Il 5 dicembre 1988 apre a Villa Glori, a Roma, la prima Casa famiglia per malati di Aids in Italia.
Era un servizio voluto fortemente da don Luigi Di Liegro

Intanto nel Sud più profondo nascevano altre iniziative apripista, sui terreni difficili dell’emarginazione giovanile, ma anche del contrasto sociale alla criminalità organizzata. A promuoverle è don Italo Calabrò, parroco di San Giovanni di Sambatello a Reggio Calabria, Vicario Generale dell’Arcidiocesi, cofondatore della Caritas Italiana e per diversi anni vicepresidente nazionale, oltre che presidente di quella diocesana e delegato regionale. Nascono così le prime case famiglia per minori in difficoltà e ragazze madri, comunità per persone con disabilità, servizi per adolescenti con problemi con la giustizia. Sono gli anni terribili delle guerre di ’ndrangheta che tra il 1974 e metà degli anni ’80 provocarono oltre mille morti solo nella provincia di Reggio Calabria. Tra loro tantissimi giovani. Don Italo provò a salvarli, accogliendoli nelle strutture sociali messe in piedi tra mille difficoltà o addirittura portandoli fuori regione. «Amate coloro che incontrate sulla vostra strada, nessuno escluso mai, è questo il comandamento del Signore» scrisse nel suo testamento. Mentre ai suoi ragazzi ripeteva sempre: «Nella vita si possono delegare tante cose diceva, una sola cosa non si può delegare: il vivere. Nessuno può dire ad un altro tu vivi al posto mio». Per molti fu cambiare un destino che sembrava segnato. Un progetto concreto che più di quaranta anni fa ha anticipato il programma 'Liberi di scegliere', promosso nel 2012 dal Tribunale dei minori di Reggio Calabria con la Cei e Libera.