Attualità

Piacenza. I piccoli Comuni: dubbi sulle fusioni

Paolo Viana giovedì 29 ottobre 2015
«Non è mica che se fondi due comuni i chilometri delle strade da riparare si dimezzano!» Siamo a Bettola e Bersani è nato qui, ma questa non è una battuta alla Crozza. «È ciò che pensano – spiega Massimo Castelli – i "Ragionieri dello Stato", secondo cui, la strada maestra per risparmiare è la fusione dei piccoli Comuni. Ammesso che si riescano a tagliare 3,5 miliardi, e ne dubito perché non possiamo licenziare il personale né chiudere i servizi, mi chiedo perché la spending review prenda di mira i centri sotto i 5.000 abitanti, i quali, con 8 miliardi – l’1% della spesa pubblica –, amministrano il 54% del territorio. E non, invece, l’apparato centrale dello Stato, che assorbe oltre il 30% delle risorse, 255 miliardi di euro».Castelli guida i 5.600 piccoli Comuni italiani. È un piacentino della montagna e fa il sindaco a Cerignale, centocinquanta anime. «Lottiamo a mani nude contro lo spopolamento dell’Appennino, ma Roma non lo sa – esclama – che abbandonare il territorio costa?». Mi mostra, proprio sotto la finestra dell’ufficio di Bettola dove lavora, le ruspe che lavorano sul torrente Nure: l’alluvione di settembre ha portato via la strada e ha lasciato tre morti. «Se chiudono gli uffici postali, le scuole, i presidi sanitari – dice – è normale che la gente se ne vada e infatti la popolazione di queste montagne in cinquant’anni è diminuita di due terzi. Certo, Caio (l’ad di Poste Italiane; ndr) può consegnare la corrispondenza solo dove gli conviene, ma noi sgombriamo la neve anche nelle frazioni dove il gettito Imu non copre la spesa; perché noi siamo lo Stato ed eroghiamo pari servizi a tutti, a prescindere dal reddito».In otto anni, lo "Stato locale" ha subito tagli per 18 miliardi e continuerà a fare la propria parte, «ma la fusione dei piccoli Comuni è solo una possibilità e neanche la migliore» secondo Castelli. Un recente studio del Ministero dell’Interno – titolo a tesi ma suggestivo "Fusioni: quali vantaggi?" – certifica che la loro spesa reale è inferiore a quella delle grandi città: i mille centri dai tre ai cinquemila residenti hanno un costo medio pro capite di 894 euro contro i 1.661 delle sei città che superano i 500mila abitanti; idem per la spesa corrente, visto che le cinquemila amministrazioni fino ai 10mila abitanti spendono in personale e servizi quanto le sei metropoli.Ieri il presidente dell’Associazione dei Comuni, Piero Fassino, aprendo l’assemblea nazionale di Torino, ha chiesto «un approccio flessibile per i piccoli Comuni che su acquisti, appalti, personale, norme di spesa e contabilità non siano gravati da vincoli e rigidità normative opprimenti e spesso ingestibili» ma ha confermato il sostegno dell’Anci ai processi aggregativi («non solo con le Unioni, ma sempre più anche con le fusioni») spiegando che sono «spesso ostacolati da un quadro normativo disincentivante e troppo oneroso». L’Anci, che oggi dedicherà all’argomento una sessione dell’assemblea, presenterà al Governo «una proposta per l’adozione di nuovi criteri di aggregazione – l’ambito socio economico ottimale e non la sola dimensione demografica – accompagnati da meccanismi incentivanti e procedure semplificate», ha annunciato Fassino. In discussione ci sono le gestioni associate – obbligatorie da cinque anni per i centri sotto i 5.000 residenti –, che sono al palo come le fusioni, perché, racconta Castelli, «il DL 78/2010 impone le gestioni associate di tutte le funzioni fondamentali dei comuni in base al numero di abitanti, ma molti dei Comuni che dovrebbero associarsi, per fare un esempio delle incongruenze, non confinano tra loro». Dopo anni di muro contro muro, però, la proposta Anci potrebbe essere condivisa. Si vorrebbe sospendere l’obbligo, imposto solo ai "piccoli", di gestire in forma associata tutte le funzioni fondamentali e istituire dal 2016 nuovi "ambiti" amministrativi nei quali tutti gli 8.000 Comuni italiani, a eccezione delle città metropolitane, saranno tenuti a gestire in forma associata almeno tre funzioni fondamentali. Il sottosegretario agli affari regionali Gianclaudio Bressa ammette che «si è passati da una posizione difensiva a una propositiva, che apprezziamo»: anche se la mini-riforma non entrerà nella legge di Stabilità, comunque è stato individuato un percorso per rilanciare l’accorpamento anche nelle Regioni in ritardo e restituire ai sindaci la decisione finale sui servizi da gestire insieme.