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Crisi. Letta molla M5s, Brunetta lascia Fi. Partiti al voto tra scissioni e area Draghi

Marco Iasevoli giovedì 21 luglio 2022

Conte e Letta

Palazzo Montecitorio è una via vai di parlamentari e dirigenti di partito. Tutti in "assemblea permamente": il voto è alle porte, si aspetta solo che Mattarella sciolga le Camere. Ma il quadro è ancora in definizione: il blocco di centrodestra si è riunificato causando la caduta di Draghi, ma ora teme slavine nel centro moderato. Il "campo largo" Pd-M5s ufficiosamente non esiste più, si aspetta solo la sanzione formale degli organi del Pd. Nelle prossime ore M5s e Conte potrebbero vivere nuovi momenti di crisi interna. Al contempo, la cosiddetta area-Draghi sconta ritardi e i dubbi sul futuro politico e nelle istituzioni del presidente del Consiglio.

LETTA: ORA PENSIAMO A NOI, CHI HA CAUSATO LA CRISI RESPONSABILE ALLO STESSO MODO

Il segretario del Pd Enrico Letta in mattinata ha riunito i gruppi, alle 12 ha convocato la segreteria. Ma la rotta è tracciata: "il paradigma è cambiato", ciò che si è rotto "non si aggiusta", ora "pensiamo a noi e a un nuovo sfondamento elettorale del Pd". I partiti che ieri hanno causato la crisi "sono responsabili allo stesso modo, non mi si venga a fare classifiche", dice a chi gli chiede di tenere ancora in considerazione M5s. Ora però i dem devono scegliere: provare a intestarsi la cosiddetta area-Draghi, entrando in dialogo con Calenda, Renzi e Di Maio e provando a tirarsi dietro Leu, oppure provare una corsa solitaria all'insegna della vecchia "vocazione maggioritaria". Letta è confortato da sondaggi che darebbero il potenziale elettorale del Pd al 28-30%, le scelte arriveranno nelle prossime ore. Quanto al rapporto con M5s, si discute anche dell'opportunità di celebrare le primarie, domenica, in Sicilia, per scegliere il candidato alla guida della Regione.

CONTE ​DIFENDE LE SUE SCELTE. MA ORA SI TROVA TRA DUE FUOCHI. GRILLO: NO A TERZO MANDATO

Anche il gruppo alla Camera di M5s è riunito. Conte difende le scelte degli ultimi giorni, ripete che M5s è stato messo sulla "difensiva", mentre ieri sera aveva definito l'atteggiamento di Draghi "sprezzante". Ma a Montecitorio il leader deve affrontare un folto gruppo di governisti, guidato dal capogruppo Crippa e dal ministro D'Incà. La linea politica si intreccia con il nodo del terzo mandato, che M5s non ha sciolto. Anzi, a quanto apprendono le agenzie di stampa, Beppe Grillo spinge perché il principio dei due mandati venga mantenuto. Una nuova scissione al centro - direzione Di Maio e Pd - è probabile. Ma allo stesso tempo Conte deve guardarsi dai segnali degli 'ortodossi': Danilo Toninelli, in un'intervista, chiede il ritorno di Di Battista. Ma se Conte ancora ambisce a tenere il filo con i progressisti, Di Battista è su tutt'altre posizioni politiche. Insomma, per l'ex premier, una doppia insidia. Per M5s, se svanisse il "campo largo", le ipotesi potrebbero essere la corsa solitaria o una coalizione con le forze di sinistra ed ecologiste, sul modello di Melenchon in Francia.

BRUNETTA LASCIA FI: ORA UN'UNIONE REPUBBLICANA

Dopo Mariastella Gelmini, anche un altro ministro forzista del governo Draghi, Renato Brunetta, lascia Forza Italia. "In realtà é Forza Italia che lascia se stessa", scrive lo storico esponente azzurro, che accusa gli "irresponsabili" che hanno causato la crisi. Brunetta però non lascia la politica: "Mi batterò perché le migliori energie liberali confluiscano in un'unione repubblicana". Il dubbio è su quanti, tra i moderati di Fi, seguiranno Brunetta e Gelmini. Mentre fronte-Lega, dopo gli annunci di tempesta dei "governisti" nei confronti di Salvini, è calato un silenzio tombale.

AREA-DRAGHI, IL CANTIERE E I NODI

Anche Brunetta, dunque, sembra guardare ad un'area-Draghi. Qui già si sono installati, senza però avere alcun patto tra di loro - anzi, abbondano i veti - Carlo Calenda, Matteo Renzi, Giovanni Toti e Luigi Di Maio. Prima della crisi, quando ancora era plausibile l'ipotesi del campo largo di Letta e Conte, l'area-Draghi si configurava come una sorta di terzo polo. Ora, invece, il Pd è tentato di prenderne le fila. Tra litigiosità dei vari leader, differenze programmatiche e poco tempo a disposizione, l'impresa di mettersi insieme è ardua, nonostante la legge elettorale, il Rosatellum, lo imponga. Inoltre, il riferimento a Draghi potrebbe risultare un equivoco: non ci sono al momento segnali di un impegno politico del premier, né di un suo input a fare campagna elettorale evocando il suo nome. Inoltre Draghi, restando per gli affari correnti, dovrà salvaguardare la necessità di trovare, in qualsiasi momento, una maggioranza di servizio per provvedimenti urgenti. E una eventuale instabilità post-voto consiglierebbe di tenerlo ancora al riparo per eventuali nuovi incarichi istituzionali non di parte.