Attualità

La crisi politica. I partiti lunedì al Quirinale. Pre-incarico, Salvini insiste

Marco Iasevoli venerdì 4 maggio 2018

Il tempo dei giochini è finito. Sergio Mattarella fissa il termine ultimo dopo il quale ogni scelta riguardante il governo passa dai partiti al Colle: lunedì si svolgeranno le ultime consultazioni dei gruppi parlamentari, durante le quali i leader dovranno esplicitare l’esistenza o meno di «altre prospettive di maggioranza di governo» sinora rimaste sott’acqua.

È irritato e spazientito, il presidente della Repubblica. Anche di leggere sui giornali riferimenti a manovre politiche che però non hanno nulla di ufficiale e che soprattutto non si traducono in numeri parlamentari. L’ultimo giro di consultazioni, dunque, seguirà uno schema semplice: non un riepilogo di quanto accaduto dal 4 marzo a oggi, ma la pretesa di una risposta chiara a una domanda diretta: «C’è qualcosa di nuovo da esaminare?». Se la risposta dei leader sarà evasiva, si passerà oltre. D’altra parte la nota con cui il Quirinale annuncia la riapertura della Sala alla Vetrata è dura: «A distanza di due mesi le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste immutate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo», né quella centrodestra-M5s né l’ultima esaminata, quella M5s-Pd. E quindi lunedì, in un solo giorno e con colloqui molto brevi, Mattarella farà l’ultimissima e definitiva ricognizione. Inizierà M5s alle 10, poi alle 11 salirà al Colle il centrodestra unito con Lega, Fi e Fdi, alle 12 chiuderà la mattinata decisiva il Pd. Nel pomeriggio mini-incontri di 20-30 minuti con i gruppi più piccoli e con i presidenti di Camera e Senato, Fico e Alberti Casellati.

Il focus è sull’aggettivo che il Colle usa, «nuove» prospettive. Inutile riprendere in esame le vecchie ipotesi. C’è una reale possibilità che un pezzo di Pd appoggi un governo Giorgetti? Lo dicano, centrodestra e Pd. O non lo sussurrino più alla stampa. È in vista la formazione di nuovi gruppi parlamentari che possano appoggiare un esecutivo? Si palesi, non resti un’ipotesi. Per avere queste risposte, un giorno basta e avanza.

Le posizioni dei partiti in vista di lunedì sono praticamente già definite e non lasciano presagire nulla di sorprendente. Nessuno ha intenzione di 'facilitare' il lavoro del Quirinale. Il centrodestra compatto si presenta al Colle con una richiesta difficile da accettare. «Sono pronto al pre-incarico», fa sapere Salvini in serata. Un mandato per «andare in Parlamento a chiedere il sostegno ai parlamentari di altre forze politiche sulla base di un programma che va dai migranti alla flat tax, dal sostegno al reddito all’abolizione della Fornero». L’auspicio è che arrivi un appoggio o da M5s o da «un gruppo di parlamentari che condivide il progetto». Esclusa, invece, l’intesa organica con il Pd. Nulla di nuovo sotto il sole. È la posizione portata avanti da Berlusconi e Meloni sin dal giorno successivo al voto ed è, più che una proposta di governo, una posizione politica finalizzata a rassicurare l’elettorato di centrodestra in vista del nuovo voto. E d’altra parte il riferimento a M5s non poggia su basi realistiche. Ormai Luigi Di Maio ha chiuso con Salvini e ieri, con una lettera ai parlamentari, ha aperto la fase nuova: «O si va al voto subito oppure faremo opposizione durissima all’ammucchiata Salvini-Berlusconi-Renzi. Abbiamo 338 parlamentari e per qualsiasi cosa vogliano fare dovranno sudare settimane». Il capo politico del Movimento sta alzando i toni giorno dopo giorno, e ieri i suoi strali si sono rivolti alla Rai che avrebbe ripreso a fare servizi contro i pentastellati. «Faremo una legge meritocratica per sostituire i direttori», minaccia. M5s, pur chiedendo il voto, quasi si augura la nascita di un governo centrodestra-dem o di un esecutivo di tregua contro il quale dare battaglia. Ma allo stesso tempo - in questo gioco in cui tutto si tiene - il «no» dei 5s al governo istituzionale porta anche il Pd a sfilarsi, perché i dem, questa la linea emersa ieri in Direzione, sarebbero disponibili a dare una mano a Mattarella solo se i 'vincitori' del 4 marzo non si tirano fuori.

Tutto sembra remare contro la volontà del capo dello Stato di non lasciare il Paese senza un esecutivo. Ma Mattarella non demorde e comunque intende, dopo il giro di consultazioni di lunedì, inchiodare i partiti alle loro responsabilità costringendoli ad accettare o rifiutare nelle Camere una proposta di governo di garanzia per andare alle urne con ordine e con i conti a posto.