Attualità

Inquinamento. I ghiacciai di alta montagna come Chernobyl

Paolo Ferrario martedì 21 aprile 2020

La crioconite sulla superficie del ghiacciaio

Per i montanari quei segni neri sono il simbolo della malattia provocata dai cambiamenti climatici, che mette sempre più a rischio la sopravvivenza dei ghiacciai alpini. Studi recenti dicono che, entro la fine del secolo, le montagne, anche alle quote più alte, saranno quasi completamente prive della caratteristica calotta bianca. Ora, però, sappiamo anche che quel terriccio nerastro, chiamato dagli esperti crioconite, che si accumula sulla superficie glaciale ed è visibile in estate, è fortemente radioattivo. Lo ha dimostrato una ricerca condotta da un'equipe internazionale, recentemente pubblicata sulla rivista The Cryosphere, che ha prelevato e analizzato campioni di crioconite dei ghiacciai dei Forni, in alta Valtellina e del Morteratsch, in Svizzera. Dalle misure di radioattività, effettuate presso i laboratori dell'Università di Milano-Bicocca, sono emersi livelli di cesio-137 ben oltre la norma. E in misura molto superiore a quanto ci si aspetterebbe di trovare in un ambiente incontaminato come quello dell'alta montagna. Secondo i ricercatori, la presenza di cesio-137 sarebbe da addebitare all'incidente nucleare di Chernobyl del 1986, mentre gli isotopi di plutonio e americio o il bismuto-207, sono invece riconducibili ai test nucleari effettuati in alta atmosfera negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Insomma, un mix di sostanze velenose che rischiano di inquinare anche le sorgenti da cui sgorgano le acque che servono i paesi del fondovalle. Allo stato attuale delle conoscenze, sebbene all’interno dei singoli depositi crioconitici i livelli di radioattività non siano del tutto trascurabili, precisa una nota della Bicocca, non vi sono conseguenze ambientali e di salute per gli ecosistemi a valle dei ghiacciai. Tuttavia ulteriori studi saranno necessari per comprendere gli effetti di tutto ciò nelle aree subito prospicienti ai ghiacciai.

«La crioconite – spiega Giovanni Baccolo, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente presso l’Università di Milano-Bicocca - è uno dei materiali naturali più radioattivi che si possano rinvenire sulla superficie del nostro pianeta. Gli unici luoghi dove si trovano livelli di radioattività più elevati sono i siti in cui sono avvenuti incidenti o esplosioni nucleari. A differenza di muschi e licheni, solitamente utilizzati per valutare la contaminazione radioattiva, la crioconite ha mostrato di concentrare la radioattività 10-100 volte di più, a seconda del radionuclide considerato. I risultati ottenuti, dunque, suggeriscono di considerare in futuro la crioconite per studiare il livello di integrità ambientale degli ecosistemi d'alta quota».