Attualità

Migranti . Per dare un nome alle vittime del Mediterraneo

N.S. venerdì 18 gennaio 2019
Tentavano di portare, nell'incognita di quel viaggio, un pezzettino di passato ancora con sé. Per non scomparire. Insegnando che si può morire con la speranza ancora addosso. Il corpo di un ragazzo con in tasca (nella foto sotto) un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono i corpi delle vittime del Mediterraneo, morti nel tentativo di arrivare nel nostro paese su barconi fatiscenti, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità.

Hanno commosso i social le storie dei migranti morti in diversi naufragi e raccontate in un libro ("Naufraghi senza volto", edito da Raffaello Cortina) da Cristina Cattaneo

, il medico legale che negli ultimi anni si è occupata di riconoscere i corpi dei migranti annegati in mare. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati.



Il libro racconta, attraverso il vissuto di un medico legale chiamato ad esaminare i corpi dei 368 migranti morti il 13 ottobre 2013 a poche bracciate da Lampedusa, mentre il loro barcone è colato a picco intrappolando quasi tutti, il tentativo di dare un nome a queste vittime, e come questi corpi, più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo. E attraverso le immagini di Salvatore Cavalli si possono conoscere alcuni di quelli brandelli di vita e osservare il barcone, portato all'asciutto, che appare come un'arca che non ha saputo proteggere il carico di vite e di sogni perduti

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