Attualità

LO SPRECO. I costi collaterali del gioco valgono un punto di Pil

Nicoletta Martinelli sabato 13 aprile 2013
La violenza è la ragione di chi ha torto. E sopra le righe, violentemente offensivo, si è dimostrato ieri davanti alla platea in studio e a quella a casa, Massimo Passamonti, coordinatore dell’area giochi e intrattenimento di Confindustria, ospite sul primo canale della Rai della trasmisione Unomattina. La sua veemente difesa del gioco d’azzardo e dell’industria milionaria che ci gira intorno, gli procurerà una querela: dando sulla voce a Maurizio Fiasco – sociologo, componente della Consulta nazionale antiusura – che presentava dati scomodi sul fenomeno, Passamonti ha gridato: «Lei dice il falso sapendo di dire il falso». Un comportamento – spiega Fiasco – «che ha profilo penale di diffamazione. Durante la pausa pubblicitaria – chiarisce il sociologo – ho chiesto ai conduttori del programma di proporre a Passamonti di porgermi le sue scuse in trasmissione. Pubbliche scuse come pubblica era stata l’offesa, ma lui si è rifiutato». Diversi – e pochi sottoscrivibili – gli argomenti sostenuti da Passamonti. Per esempio che la stampa – ormai l’origine di tutti i mali – dà «una rappresentazione noir del gioco d’azzardo» tralasciando di occuparsi di altre dipendenze – quelle sì, secondo Passamonti, reali e certificate – come l’alcolismo e la tossicodipendenza. «Ci sono trenta milioni di persone – ha spiegato – che giocano una volta la settimana e nessuno di loro si rovina». Il problema sono quelli per cui – appunto – il gioco è una coazione a ripetere, una malattia che li possiede. E Passamonti ne guardava due diritto negli occhi, uomini maturi ospiti di RaiUno per raccontare la loro storia di giocatori compulsivi. Che, però, non esistono perché «non ci sono casi di ludopatia certificati. I sert hanno accertato casi rarissimi – sostiene il coordinatore dell’area giochi e intrattenimento di Confindustria – e i ludopatici sono meno dell’uno per cento del totale dei giocatori». Il fair play è stato dimenticato del tutto di fronte a un dato eclatante fornito da Fiasco: l’azzardo ha anche un costo collaterale e non contabilizzato – il tempo di vita investito davanti a una slot machine, tradizionale oppure online, o ai gratta e vinci – calcolato in 69.760.000 giornate lavorative. Tempo sotratto alla produzione, agli affetti, alla formazione, ad altri passatempi più salutari...Abbandonando Passamonti alle sue convinzioni, vale la pena di insistere su questo dato: «Facciamo un esempio – propone Fiasco – prendendo in esame le slot machine in cui si può scommettere un euro per volta. Gli introiti derivanti da questo settore equivalgono a 28 miliardi. Significa che ci sono state 28 miliardi di operazioni di gioco. Ogni operazione dura in media sei secondi.  Facendo una divisione semplicissima, si scopre che sono state impiegate 46.660.000 ore per giocare quei 28 miliardi. Procedendo allo stesso modo per tutte le altre voci – operazioni con le VLT, con i gratta e vinci, con i giochi online, con quelli tradizionali – si arriva a 49 miliardi di operazioni di gioco. E a quasi 70 milioni di giornate passate a giocare...». Vogliamo trasformarlo in una cifra? «Il reddito indiretto versato alla macchina del gambling, da aggiungersi al denaro sonante speso direttamente, è di quasi 5 miliardi – puntualizza Fiasco – in pratica un punto di Pil».E qui si evidenzia il vero problema e anche il grande cambiamento avvenuto nel corso degli ultimi vent’anni: fino 1998 il sistema pubblico del gioco d’azzardo prospettava giochi ad alta remunerazione – le vincite erano significative e qualche volta persino iperboliche – ma con una bassa ripetizione di frequenza: chi non si ricorda la lotteria legata alla finale di Canzonissima? E poi c’era il tredici al Totocalcio o il terno al Lotto. Anche i luoghi fisici dove giocare erano limitatissimi: quattro casinò sul territorio e stop. Oggi vengono proposti giochi a bassissima remunerazione e ad altissima frequenza. «Il modello che si è imposto ha soppresso la motivazione incentrata sulla vincita eclatante facendo prevalere la sequenza infinita del gioco ripetuto. Come recitano gli slogan della pubblicità dell’azzardo – continua il sociologo – si gioca per “vincere facile”, “vincere spesso”. Ma non si tratta di vere e proprie vincite, quanto di microrestituzioni di importi anch’essi minimi».