Attualità

Napoli. «Gomorra non è Napoli. Serve un altro racconto»

VALERIA CHIANESE venerdì 17 giugno 2016
Infedele, già dal titolo. 'Gomorra', la serie, non riproduce con fedeltà la fisionomia di una città, Napoli, che non è facilmente definibile. Trasfor-mando in immagini luoghi comuni, sebbene in versione patinata, e raccontando situazioni sorpassate, se solo si guarda davvero la realtà. Lo stesso titolo comincia a dare fastidio, ormai usurato e fittizio. 'Gomorra', osserva Mario Di Costanzo, responsabile della formazione socio-politica della diocesi di Napoli, «descrive i bassifondi della città, che invece ha punte altissime di personalità e di cultura, in senso generale, riconosciute in ambito anche internazionale ». Lo stesso Di Costanzo, che organizza i corsi sulla dottrina sociale della Chiesa in giro nei quartieri di Napoli e nell’area metropolitana, ammette il rischio di essere sviato dalla degenerazione mediatica. Invece, precisa, «trovo nei quartieri periferici, come Scampia, una passione civile fantastica, giovani impegnati e preparati, gente attenta. No – conclude – non ci si riconosce in quella Gomorra televisiva». Disapprovazione per un prodotto televisivo che sa molto di operazione commerciale, se non proprio di speculazione, puntando sulla fascinazione del male mai sconfitto. «Chi ha sbagliato ed è in carcere capisce di avere sbagliato e fa di tutto per cambiare. Questa è la realtà» dice padre Fabrizio Valletti, gesuita in trincea, che a Scampia ha creato una rete persone e di associazioni che sperano di rivoltare, di mettere 'sottosopra' il quartiere per mettere in luce il buono che c’è. Un impegno per la dignità, la legalità, la vita. Non è così nella serie televisiva dove non esistono e nemmeno sono toccati pentimento, speranza, cambiamento. «La fiction somiglia più ai film di gangsteramericani. La realtà è altra anche per quanto riguarda la camorra: i personaggi sono differenti, il clima e il livello culturale anche». Scampia, aggiunge padre Valletti, «sta cambiando molto con la partecipazione della gente che vuole cambiare. Anche se mancano un progetto politico e interessi a investire e a fare investire sulle risorse delle periferie, non solo su Scampia, ma su tutte le periferie della città».  Napoli è dunque altro che il buio di una 'Gomorra' televisiva. «Se guardiamo indietro, anche a solo dieci anni fa – sottolinea Gianvincenzo Nicodemo, presidente provinciale Acli Napoli – il livello di partecipazione in città ha fatto enormi passi avanti». Nella fiction, insiste, «non c’è la Napoli che si riscatta, che costruisce integrazione, che si indigna, perché non c’è interesse a raccontarla. Invece qui c’è un avvio di cambiamento vero, di popolo, di comunità. Purtroppo la classe dirigente, sindacati compresi, è più indietro rispetto ai napoletani». Si deve fare di più per «togliere quote di opportunità alla criminalità e al malaffare – annota Nicodemo – . E questo passa per un’assunzione di responsabilità comunitaria: togliere i ragazzi dalla strada, garantire maggiori servizi, dare più consulenza e più sostegno». Considerazioni che riflettono gli umori napoletani. Rabbia soprattutto, una rabbia 'di pancia'. «Speriamo che non facciano altre puntate» commenta Bruno Mazza, animatore al Parco Verde di Caivano, hinterlanddisagiato a nord di Napoli. «Non va bene» ribadisce con la forza della sua esperienza che gli ha fatto toccare da giovanissimo la violenza della criminalità, lo spaccio e i lunghi anni di prigione fino ad una vita nuova che guarda al futuro dei bambini. «La serie tv si può vedere dappertutto e purtroppo i genitori ne permettono la visione» afferma amareggiato. Così, continua, «ci accorgiamo che dopo ogni puntata i bambini hanno tra di loro un atteggiamento diverso e usano un linguaggio diverso con nuove frasi. Molti scendono a giocare nei viali con le pistole imitando i personaggi della serie». Bruno e altri volontari, riuniti in una cooperativa sociale, stanno ripristinando la villa comunale del quartiere per farne un luogo di aggregazione per bambini e ragazzi.  «Su 850 bambini che vivono a Parco Verde – dice – contiamo di recuperarne almeno il 70%. Ma se poi ci dobbiamo arrendere davanti a un prodotto televisivo che li riporta sulla strada della violenza e che fa sognare loro di diventare dei boss, la nostra diventa fatica sprecata e la realtà delle periferie resta allucinante». Secondo Bruno «la televisione sta abituando al male. Loro non se ne preoccupano, ma chi vede il male spesso poi rifiuta anche la speranza».