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Gioia Tauro. Una chiesa su una terra confiscata alla mafia: «Sarà luogo santo»

Antonio Maria Mira venerdì 20 ottobre 2017

Oggi alle alle 17.30 a Gioia Tauro sarà celebrata la solenne dedicazione e apertura al culto della chiesa parrocchiale San Gaetano Catanoso, la prima realizzata in Italia su un terreno confiscato alle mafia. La celebrazione sarà presieduta da monsignor Francesco Milito, vescovo di Oppido-Palmi, una diocesi molto impegnata sul fronte della legalità.

Il vescovo Milito: è l'ora del riscatto

«Questo luogo che un tempo è stato luogo di mafia, ora, sottratto a un possesso iniquo, è stato riscattato, benedetto, dedicato al Signore, luogo santo dove c’è posto solo per le cose sante. Da luogo di illegalità a luogo santo». Così il vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito, spiega la chiesa di San Gaetano Catanoso, la prima realizzata su un bene confiscato. Oggi, dopo tredici anni nei quali la parrocchia è stata un tendone, si celebra la dedicazione della grande chiesa in muratura. «Dalla chiesa tenda alla chiesa tempio», sottolinea il vescovo, nella quale, aggiunge, «c’è posto anche per chi un tempo aveva questo bene e ora non l’ha più». Dunque, «condanna netta della ’ndrangheta come male, ma apertura anche ai mafiosi. Questa chiesa può essere anche per loro luogo di pace e riconciliazione. Ricordando sempre che la misericordia non può essere slegata dalla giustizia». Così monsignor Milito ha voluto far porre all’ingresso della chiesa una lapide che oltre a ricordare «la scelta profetica del mio predecessore monsignor Luciano Bux, che volle questa realizzazione», ribadisce che ci troviamo «su un terreno sottratto a iniquo e criminale possesso » e «a futura e perenne memoria della santità del luogo, oasi di pace e casa di sante ispirazioni, monumento e monito di conversione dalle vie dell’empietà alla vita nuova in Cristo».

Parole molto chiare, monsignor Milito. Scelte importanti ma anche un iter difficile.

Il sorgere della Chiesa su uno dei primi terreni confiscati alla ’ndrangheta e la concessione di contributi di finanziamento con i fondi dell’8 per mille della Cei per la costruzione, è un dato unico in ambito nazionale, che dovrà essere ricordato per più motivi: la conversione di un’iniqua proprietà privata in un bene di interesse comune e per di più religioso; la condivisione e la collaborazione degli organismi della Cei a prova dell’attenzione del sostegno della Chiesa Italiana alla scelta coraggiosa di una Chiesa locale; la riconfermata volontà della Cei per il completamento dei lavori dopo un’ampia pausa di interruzione, dovuta ad impreviste pastoie e gravi inadempienze burocratiche, con gravi pregiudizi per il completamento dell’opera stessa. Ma ora ci siamo. Non è però l’unico esempio di impegno della diocesi su questo fronte. Si inserisce in un cammino e ne è l’elemento più monumentale non solo in senso fisico ma anche di significato. I latini dicevano 'monumentum monimentum', ogni qualcosa che si erige ed è potente diventa una monizione, un avviso. Nella sua imponenza si inserisce in una città che ha una scarsa identità, diventando casa di Dio in mezzo alle case degli uomini in un contesto difficile. Per la sua collocazione è il segno del sacro per chi entra a Gioia Tauro e l’ultimo segno per chi ne esce.

E in questa terra i segni, i simboli hanno avuto e hanno ancora una grande importanza. Nel bene e nel male... È proprio così. Infatti ho voluto che nella chiesa ci fossero dei segni particolari. Sulla mensa dell’altare c’è un rivolo rosso che rappresenta il sangue di Cristo sparso per noi, il sacrificio della Croce che ci redime, ma richiama anche il tanto sangue versato in queste zone. Quindi il riscatto in Cristo ma anche le colpe permanenti. Un segno semplice ma potente. Poi di fronte c’è l’ambone in foglia d’oro, per rappresentare la Parola di Dio che come l’oro resta in eterno. Quindi abbiamo la nequizia degli uomini e la presenza permanente di Dio. Sia l’altare che l’ambone sono sopraelevati, per dire che il sacrificio avviene in terra ma è per il cielo. Infine sul Tabernacolo c’è il Volto Santo di Cristo, il Mandylion, della cui devozione fu promotore San Gaetano Catanoso.

Una grande chiesa ma anche tanti spazi per tante iniziative. Un luogo dove accogliere, condividere, ascoltare...

È una delle chiese più grandi della Piana di Gioia Tauro. Ha i locali parrocchiali più vasti della diocesi. E questo anche grazie all’unico blocco di progettazione. Anche per questo devo sottolineare la grande perspicacia della Cei, nel rispetto delle norme che valgono per tutti, nel capire l’importanza di questo progetto e nel continuare a sostenerci malgrado ritardi e altri problemi delle imprese. E questo grazie all’8 per mille che ha affiancato l’impegno della diocesi. Capendo quanto questa chiesa sia davvero un segno forte.

Anche l’intitolazione a san Gaetano Catanoso è un segno. Un prete profondamente calabrese, che in tempi difficili fece scelte chiare contro le mafie.

È proprio così. Per questo la chiesa diventa cattedra per tutta la diocesi, per il suo significato intrinseco. Ancora una volta, attraverso dei segni molto forti, proclamiamo l’incompatibilità tra ’ndrangheta e Vangelo.

Le tappe per la nuova Chiesa di San Gaetano Catanoso

Lungo e faticoso l’iter per la parrocchia di San Gaetano Catanoso. Il terreno è stato sequestrato il 27 marzo 1984, confiscato definitivamente il 7 aprile 1994, assegnato al comune di Gioia Tauro il 26 aprile 1999. Abbandonato per anni fino all’intervento della diocesi e del suo vescovo Luciano Bux che la chiese per una nuova parrocchia assieme al 'palazzo Molè'. Nel 2005 nasce la parrocchia, ospitata in una grande tenda e guidata allora da don Pasquale Galatà. Il 20 settembre 2010 la posa della prima pietra, prelevata dalla casa di San Gaetano Catanoso a Chorio di San Lorenzo. Comincia così la costruzione della grande chiesa. Un iter interrotto da ritardi, abbandoni e problemi economici delle imprese incaricate. Oggi finalmente, terminati i lavori, la dedicazione. Dal 2015 il parroco è don Giovanni Battista Tillieci. Una vicenda che è stata narrata ieri dai vari protagonisti nel convegno «Ora... 'il luogo sul quale tu stai è luogo santo' (Es 3,5). Iter di una conversione simbolo».

Oltre alla chiesa, realizzata su un terreno confiscato al potentissimo clan ndranghetista dei Piromalli, la diocesi ha in gestione, sempre a Gioia Tauro, il 'palazzo Molè', confiscato all’omonima cosca, che ospita da tredici anni gli uffici della Caritas diocesana, l’Istituto di scienze religiose e altre iniziative destinate soprattutto al laicato. Sempre nel 2004 è nata la cooperativa Valle del Marro, frutto della collaborazione tra Diocesi e Libera, col sostegno del Progetto Policoro della Cei, che coltiva terreni confiscati ai clan della Piana di Gioia Tauro. Nel paese di Polistena, un palazzo confiscato alla cosca Versace è stato assegnato alla parrocchia di Santa Marina Vergine, guidata da don Pino Demasi, già vicario generale, e ospita un centro di aggregazione giovanile, un ostello e l’ambulatorio di Emergency per migranti.