Attualità

Ospedali religiosi: le eccellenze/1. Genetica del futuro per i piccoli disabili

Paolo Viana venerdì 30 gennaio 2009
Quando si parla di "sanità privata" si pensa a un servizio per malati benestanti, disposti a versare fior di quattrini pur di assicurarsi le cure migliori. Esistono invece numerosi istituti socio-sanitari di ispirazione cristiana, in genere di medie dimensioni, fortemente specializzati, convenzionati con il servizio sanitario nazionale – e quindi alla portata di tutti – che offrono prestazioni di ottima qualità e fanno ricerca scientifica ad altissimo livello. Sul piano nazionale li riunisce l’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari). Con l’Istituto Medea di Bosisio Parini, inizia il nostro viaggio in questa "sanità d’eccellenza". Per Claudio, scrivere è una sofferenza. Di fronte al foglio bianco pensieri e segni proprio non vogliono incontrarsi. In quell’istante, il suo quo­ziente intellettivo segna 52; la media, cento, resta un mi­raggio. Il corpo callo­so, che dovrebbe col­legare gli emisferi ce­rebrali, in questo ra­gazzone è diviso dal­la nascita e le funzio­ni logiche sono irri­mediabilmente com­promesse, ma se gli chiedi di esprimersi con un disegno ecco che il Q. I. balza a quota 124. Fare di Claudio un abile arti­giano del legno, ab­battendo le mura in­visibili del ' cervello diviso', all’Istituto Eugenio Medea è co­stato decine di mi­gliaia di euro, l’utiliz­zo di tecnologie sofi­sticate e anni di lavo­ro con i migliori neu­ropsichiatri. Eppure i suoi genitori non hanno pagato nep­pure il ticket. «An­ch’io sono qui perché mi hanno detto che il reparto di riabilita­zione neuro-oncolo­gica della dottoressa Poggi è uno dei più avanzati in Eu­ropa e anch’io per Valeria non ho pagato un euro» ci racconta Anna, una giovane mamma calabrese, che in u­na sera di autunno ha la­sciato la Sila per sconfigge­re il tumore della figlia tre­dicenne. Di drammi a lieto fine come questi se ne in­contrano a centinaia nei pa­diglioni del Medea, l’unico Irccs riconosciuto per la ri­cerca e la riabilitazione nel­l’età evolutiva. Centro di riferimento a livello nazionale. Siamo in una fabbrica di eccellenza sanitaria, venuta su tra le mani­fatture dei ' cumenda' brianzoli. Francamente, a percorrere questi vialetti, coronati dalle Alpi, si po­trebbe pensare di trovarsi in una clinica svizzera per bambini ricchi. Del resto, il nome del Medea appare sul­le riviste scientifiche più prestigiose e in numerosi programmi di ricerca inter­nazionali. In questi anni, i suoi neuropsichiatri hanno fatto luce sull’origine gene­tica della dislessia (i risulta­ti sono sul Journal of Medi­cal Genetics), la genetista Maria Teresa Bassi sta lavo­rando sul gene responsabi­le di una forma di SLA ad e­sordio precoce (se ne è oc­cupato Brain) e il laborato­rio di bioinformatica va a caccia di 'somiglianze' tra il nostro Dna e quello dei no­stri antenati nella catena e­volutiva L’osmosi continua tra ricerca e terapia riabili­tativa - siamo in un Irccs, fi­nanziato dallo Stato proprio perché contribuisce al mi­glioramento del servizio sa­nitario nazionale - ha fatto di questo istituto privato il centro di riferimento nazio­nale per diverse patologie infantili, comprese le para­lisi cerebrali che colpiscono due neonati su mille, senza mai mettere in discussione il profilo pubblico del servi­zio che viene offerto: per es­sere curati al Medea è suffi­ciente la prescrizione del medico e tutte le spese sono coperte dal rimborso regio­nale, secondo le tariffe di legge. Anche quelle di Paola, che ha la «malattia delle ossa di vetro » ed è come una sta­tuetta in biscuit: ba­sta il minimo urto e le sue braccia, le sue mani, le sue gambe si spezzano. «L’osteoge­nesi imperfetta è una malattia genetica, noi non possiamo gua­rirla ma curarne al­cuni aspetti con ausi­li e fisioterapia» spie­ga il primario di ria­bilitazione funziona­le, Anna Carla Turco­ni. Lavora qui da 32 anni e ha portato a quota 70% l’indice di attrazione del repar­to, uno dei parametri in base al quale si as­segnano i finanzia­menti agli Irccs. Scienza e tecnica gesti di carità. La storia di que­sto istituto spie­ga come la sa­nità cattolica con­venzionata continui a svolgere la propria missione sociale a dispetto di riforme sanitarie e crisi fi­nanziarie. «L’assistenza dei disabili - ricorda il direttore operativo Carla Andreotti ­ha costi elevati perché im­pone un approccio polispe­cialistico; noi abbiamo sem­pre fatto la nostra parte of­frendo un servizio di qualità ma temiamo che i tagli del­la sanità possano creare pe­ricolosi ' buchi'. Gli stessi corsi scolastici che integra­no la riabilitazione al Medea sono a rischio». L’Istituto è la sezione scientifica dell’As­sociazione Nostra Famiglia, che è l’opera delle Piccole A­postole della Carità, fonda­te dal beato Luigi Monza. Dietro il vetro e l’acciaio dei padiglioni stile Renzo Piano e sotto gli orsetti e i leoni di carta che pendono dal sof­fitto, si respira ancora il loro apostolato, che si è sinto­nizzato sui segni dei tempi senza perdere il carisma o­riginario. Il beato Monza e­ra uno di quei preti ambro­siani che 'sentivano' i biso­gni della povera gente per­ché solo così, usava ripete­re, si è «sacerdote secondo il cuore di Dio » ; ma don Monza era anche un prete moderno, che vedeva «scienza e tecnica al servi­zio della carità» e sosteneva che «il bene va fatto bene». Insomma, l’eccellenza ante litteram, sicuramente prima che la riforma del ’92 faces­se di questo con­cetto la stella po­lare per Irccs e o­spedali in cerca di rimborsi e convenzioni. Il primo ' contrat­to' con lo Stato nel campo della riabilitazione lo firmò proprio la Nostra Famiglia nel lontano ’ 54: oggi gestisce 35 sedi in otto regio­ni ( i centri più importanti si tro­vano Domenico Galbiati a Bosisio Parini, Cone­gliano, S.Vito al Tagliamen­to e Ostuni), dà lavoro a due­mila operatori e serve ven­timila pazienti all’anno. « Il nostro indice di eccel­lenza - sostiene il presiden­te del Medea, Domenico Galbiati - sono i progressi dei ragazzi e la riconoscen­za delle famiglie. I primi, qualche volta, possono ap­parire impercettibili, ma la seconda commuoverebbe chiunque». Per rendersene conto basta incrociare lo sguardo delle mamme che arrivano dall’Istituto dei Tu­mori o dalle terapie intensi­ve dei diversi ospedali, non solo lombardi. Medici ed e­ducatori, psicologi e maestri - l’istruzione fa parte della terapia e i pazienti del Me­dea offre corsi dalla mater­na alla scuola di formazione professionale - applicano gli insegnamenti di don Mon­za: un approccio globale al­la persona umana, lavoro di équipe, percorsi personaliz­zati e ruolo centrale della fa­miglia e dei servizi territo­riali. Nessuno, però, s’illude: la riabilitazione dei disabili è una trincea difficile e non è un caso che, tra i privati, solo i cattolici vi investano così pesantemente. «La nostra attività beneficio per la società». «Noi affrontia­mo patologie complesse e ingrate - conferma il presi­dente del Medea - che ri­chiedono finanziamenti in­genti e promettono di non avere mai, o quasi mai, un risultato certo, prevedibile né definitivo». Il che signifi­ca, in termini di politica sa­nitaria, rivoltare un coltello nella piaga della crisi. Gal­biati, da ex deputato, sa che soldi e consenso si 'conta­no' anche quando si parla di salute e che in tempi di vacche magre il rischio che le cure per i disabili venga­no reputate un lusso è alto. Occuparsi di psicopatologia dello sviluppo o di neuro­riabilitazione e neuropsi­chiatria dell’età evolutiva, 'aggiustare' cioè le capacità motorie e cognitive che de­rivino da lesioni congenite o provocate da eventi trau­matici significa promettere dei progressi visibili solo at­traverso la lente del tempo: mesi, più facilmente anni. «Il nostro obiettivo non è la restitutio ad integrum ­commenta Galbiati - e que­sto approccio può deludere i fautori di una sanità fun­zionale all’assetto produtti­vo della società». Il primario di neuropsichia­tra infantile Renato Borgat­ti sa bene che i suoi pazien­ti non guariranno dalla sin­drome di Williams, provo­cata dalla rottura di un cro- mosoma: « Ma un ragazzo Down lasciato a se stesso ­puntualizza - può trasfor­marsi in un soggetto psico­tico da assistere per tutta la vita, quindi la nostra attività conduce a un beneficio per il paziente e la sua famiglia ma anche, in prospettiva, a un risparmio per la colletti­vità ». Nel suo reparto il tas­so di occupazione dei letti accreditati, coperti dal rim­borso regionale, si avvicina al 100%, mentre in molte neuropsichiatrie pubbliche non arriva al 65 - ma l’at­mosfera che si respira non è quella delle e­conomie a tutti i costi. Né sarebbe pos­sibile, doven­dosi misurare, appunto, con patologie 'in­grate'. Il re­parto di psi­copatologia dell’età evolu­tiva è diventa­to un centro di riferimento per l’autismo, 150 casi al­l’anno, uno ogni mille abi­tanti nel bacino d’utenza (Milano, Como, Lecco, Ber­gamo). « La diagnosi deve avvenire prima del terzo an­no d’età e la collaborazione con i pediatri è determi­nante » spiega il primario Massimo Molteni, che è an­che direttore sanitario del Medea. Curare un bimbo autistico è una faticaccia, ammette lo specialista, per­ché « questa patologia im­pone il rispetto dei tempi del paziente e malgrado i nostri sforzi è difficile oggettiviz­zare il comportamento u­mano. Il problema si riflet­te anche sulla percezione che si ha di queste malattie: poiché non si muore di au­tismo, la politica fatica a ca­pire che una terapia psi­chiatrica non è meno dove­rosa di una terapia oncolo­gica ». Questa fatica si ritro­va tra le pieghe del bilancio: ogni giorno di ricovero per autismo viene rimborsato dalla Regione Lombardia con 270 euro, ma il solo test di genetica, che in taluni ca­si è indispensabile per la diagnosi, ne costa 1600.