Attualità

Una legge attesa più di vent'anni. Finalmente, ecco gli ecoreati

Antonio Maria Mira mercoledì 20 maggio 2015
Finalmente! Lo può gridare il popolo avvelenato della «Terra dei fuochi», lo possono gridare i familiari delle vittime dell’Eternit, gli abitanti di Taranto, Gela, Marghera, Crotone, Bussi e dei tanti disastri ambientali. Lo possono dire i magistrati che per anni hanno lottato contro gli ecocriminali 'con le armi spuntate'. Finalmente, davvero. L’approvazione ieri da parte del Senato della Repubblica del disegno di legge sugli ecoreati, chiude una vicenda più che ventennale, da quando in occasione della presentazione del primo Rapporto Ecomafie, Legambiente chiese l’inserimento dei reati ambientali nel Codice penale. Quattro anni dopo la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, quella che aveva ascoltato le dure rivelazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, elaborò e approvò all’unanimità una proposta di legge. Invano. Finì dimenticata come in una maleodorante palude. Così in tutti questi anni inquinatori, avvelenatori, ecomafiosi e ecofurbi l’hanno scampata. Malgrado disastri ambientali, malgrado tante vittime, malgrado ricchi e puzzolenti affari. Al massimo pagando con una banale pena pecuniaria, perché fino a ieri tutto questo era colpito con poco più che una contravvenzione. Che certo non spaventa mafiosi e imprenditori disonesti. Eppure, quasi sempre, neanche questa quei malfattori hanno pagato, perché moltissimi processi – dall’Eternit alla discarica di Bussi fino agli inquinatori della Campania – sono finiti in prescrizione. «Chi inquina non paga. Giustizia in discarica», titolò in prima pagina 'Avvenire' il 20 dicembre 2014 in occasione del processo per la 'bomba ecologica' abruzzese finito con una generale prescrizione. Ora non più. Da ieri, finalmente, chi inquina pagherà, grazie a nuovi, precisi e più stringenti reati. Pene severe e dunque prescrizione più lunga, per processi che comunque, tra consulenze e perizie, non sono mai facili né brevi. Lo avevano chiesto con forza le mamme dei troppi bambini morti prematuramente nella «Terra dei fuochi». E lo avevano chiesto – dando forza alle attese del proprio popolo – i vescovi campani, denunciando quanto non fosse più possibile «tollerare ulteriori e irresponsabili ritardi». Voci che il nostro giornale, raccogliendo nel giugno 2012 l’appello di don Maurizio Patriciello, ha sostenuto, portandole in prima pagina anche quando altre testate e più di un politico liquidavano quei drammi come 'una storia vecchia'. Sì, vecchia, troppo vecchia, colpevolmente vecchia. Come i milioni di tonnellate di rifiuti industriali, molti provenienti dal Nord, che hanno devastato un territorio che orgogliosamente vuole ora tornare a essere 'Campania felix'. E lo potrà fare anche grazie a questa legge tanto attesa. Una legge davvero ben fatta, frutto di tre proposte normative che portano i nomi di tre deputati, Realacci, Micillo e Pellegrino (è giusto ricordare i loro nomi), presentate all’inizio del 2013, approvate in pochi mesi dalla Camera a stragrande maggioranza ma poi rimaste per un anno al Senato, modificate, ritornate a Montecitorio dove sono state eliminate le modifiche di Palazzo Madama. Un ping-pong che aveva fatto temere una nuova palude, come quella dei precedenti venti anni. Troppe le pressioni delle lobby, comprese le inattese critiche dei vertici di Confindustria. Ma ora davvero si volta pagina e non solo per colpire, finalmente, i responsabili. In modo molto intelligente il provvedimento si preoccupa del risanamento delle terre avvelenate, prevedendo il «ravvedimento operoso», cioè sconti di pena per gli inquinatori che concretamente non solo collaborano con la magistratura, ma contribuiscono alla bonifica di quanto hanno devastato. Mentre penalizza duramente chi non lo fa. Perché ora, dopo le denunce, i processi, le condanne, si passi davvero alla fase del recupero. Certo non ridaremo vita ai bambini della «Terra dei fuochi» e ai papà dell’Eternit, ma almeno nel loro ricordo avremo verità, giustizia e un futuro migliore.