Attualità

ALLARME SANITÀ. Fatebenefratelli in rosso: «Così moriamo»

Giovanni Ruggiero venerdì 18 ottobre 2013
Allarme dall’Isola Tiberina: il Fatebenefratelli, la “culla della Capitale” (quattromila parti all’anno) è in grave difficoltà. La Regione non ha ancora corrisposto compensi per prestazioni già erogate e la crisi che si trascina da almeno cinque anni ha adesso raggiunto il culmine. Entro l’anno, se in qualche modo l’ospedale non è soccorso, chiuderanno alcuni servizi, altri saranno ridimensionati e andranno in esubero 170 dipendenti tra medici e infermieri. Il dado è tratto: la decisione è stata già presa dal consiglio di amministrazione e comunicata ieri dal direttore generale, Carlo Maria Cellucci, dal direttore sanitario, Maurizio Ferrante e da fra’ Giampietro Luzzato dell’Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio, vicepresidente del nosocomio. A rischio chiusura il servizio psichiatrico di diagnosi e cura, il servizio dialisi e il centro trasfusionale. Il piano prevede anche il ridimensionamento delle attività di ricovero in convenzione, del servizio di rianimazione e terapia intensiva del territorio, della radioterapia e delle attività terapeutiche oncologiche. È un pezzo di storia, oltre che un servizio utile per la Capitale, a subire uno sfregio.«Negli incontri avuti con la Regione Lazio – spiega fra’ Luzzato – abbiamo dato la massima disponibilità a controllare i nostri bilanci, a ricevere la loro società di revisione per la certificazione degli stessi, perché nulla abbiamo da nascondere, e poter quindi giudicare la correttezza della gestione». L’ospedale ha tirato avanti nonostante una serie di ridimensionamenti e riduzioni del budget negli anni, fino alla mazzata finale: il decreto del commissario Enrico Bondi nel novembre 2012 che – sottolinea il religioso  – «ignorando gli accordi firmati con fatica in un momento in cui l’ospedale stava cercando di riposizionarsi – dispose un taglio del 7 per cento alla sanità privata, ospedale dell’Isola Tiberina compreso». «Siamo di fronte – spiega poi Cellucci – a una Regione che non rispetta gli accordi sottoscritti con gli ospedali classificati, come il nostro, a tutti gli effetti equiparati al servizio pubblico, né tanto meno osserva le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato. Alla Regione – aggiunge – non chiediamo soldi, a parte quelli dovuti per le prestazioni già erogate. Quello che auspichiamo è di trovare soluzioni: ad esempio diversificare le attività».La situazione è anche un po’ paradossale, perché, nonostante tutto il deficit accumulato anno dopo anno, l’ospedale non ha interrotto i servizi. In qualche caso, anzi, li ha perfino aumentati. I dati snocciolati sotto una lapide che ricorda un importante restauro, Vittorio Emanuele III regnante, lo dimostrano: messi a confronto gli anni 2005 e 2012, il numero dei ricoveri è rimasto quasi invariato (19.641 contro 19.472); i ricoveri in day hospital si sono ridotti (5.551 contro 3.051); le prestazioni ambulatoriali sono aumentate di ben 225mila, mentre gli accessi al pronto soccorso sono rimasti in linea (26.099 contro 26.184). Dal 2005 al 2012, invece, l’ospedale ha subito decurtazioni del budget per un totale di 70 milioni di euro. Solo le funzioni di alta specializzazione – sottolineano i responsabili del nosocomio – sono passate da una remunerazione di 18 milioni a una di 8 milioni di euro. Gli esercizi 2001 e 2012 si sono chiusi in passivo e così andrà per l’anno in corso.Il piano verrà illustrato nei prossimi giorni ai sindacati e alla Regione alla quale i vertici dell’ospedale chiedono incontri serrati. «Ministro della Salute, presidente della Regione, sindaco di Roma, tutti continuano a esprimerci apprezzamenti. – dice fra’ Luzzato con amarezza – Noi chiediamo oggi che questo si traduca in un atto politico per evitare che un ospedale così importante, per tradizione, esperienza, scienza e qualità, sia costretto a dare un’assistenza mediocre e di bassa qualità al centro di Roma».