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Coronavirus. Ecco come gli antivirali e gli antireumatoidi curano i contagiati

Viviana Daloiso martedì 17 marzo 2020

Si procede per tentativi, per ora. Ma i tentativi salvano vite. E allora rimbalzano sul web, volano sulle scrivanie dei colleghi dall'altra parte del mondo, diventano oggetto di studi, ricerche, sperimentazioni. La battaglia della scienza contro il coronavirus si combatte in corsia, con quel che c'è, in attesa che dai laboratori arrivi un vaccino.

In Italia è iniziata prima dell'epidemia, quando a fine gennaio la coppia di coniugi cinesi arrivati da Wuhan sono stati ricoverati - primi casi di Covid-19 in Italia - allo Spallanzani di Roma. Gravi, tutti e due, con febbre e polmonite. Anziani. L'unica strada percorribile, in quel momento, per provare a contenere l'infezione era quella degli antivirali: farmaci scoperti e utilizzati in passato contro altri virus e utilizzati già per la Sars e la Mers con qualche (piccolo) risultato. Con gli antivirali oggi - per cui l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato l'uso off label, cioè slegato dalle indicazioni originarie - vengono curati e guariti centinaia e centinaia di italiani malati di Covid-19 (l'ultimo, ultrassettantenne, a Genova). E il numero di guariti sale, ogni giorno, nel nostro Paese, toccando oggi quasi il tetto dei 3mila.

A mano a mano sono state intraprese altre strade, come quella dell'antireumatoide impiegato a Napoli e per cui sempre l'Aifa ha dato il via libera alla sperimentazione su ben 330 pazienti. Ecco come agiscono le terapie e i farmaci messi in campo dai medici italiani.

Gli antivirali, la “strada” dello Spallanzani

Si comincia con Lopinavir/Ritonavir e Remdesivir. Il primo in realtà è una associazione farmacologica, ovvero un farmaco che nella stessa capsula contiene due diversi principi attivi. I due farmaci vengono somministrati congiuntamente per potenziare gli effetti che hanno sull'organismo e vengono utilizzati per la terapia anti-Hiv negli adulti e nei bambini di età superiore almeno ai due anni. Il secondo farmaco che è stato somministrato ai due pazienti è invece il Remdesivir: si tratta di un nuovo farmaco più sperimentale prodotto da Gilead come farmaco contro il virus di Ebola e Marburg. Il farmaco è stato sviluppato molto velocemente per poter essere impiegato nell'epidemia di Ebola del 2013-2016 in Africa Occidentale, e dopo i test sugli animali, venne somministrato a un paziente. I risultati, dopo settimane, arrivano: i pazienti cinesi iniziano a migliorare, infine guariscono.

Il direttore dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, insieme ai medici cinesi arrivati in Italia per aiutare nella lotta al coronavirus - Ansa

Quella degli antivirali è la pista più seguita, e attualmente la più battuta negli ospedali di mezzo mondo (la Cina ha chiesto una brevettazione dei farmaci proprio come terapia per il coronavirus), anche se secondo alcuni scienziati sarebbe opportuno evitare farmaci che si sono dimostrati attivi su altri virus ma il cui “bersaglio” ha una rilevanza bassa nel Covid-19: la possibilità, in alcuni casi, è che possano addirittura risultare nocivi.

Gli antinfiammatori, il protocollo di Napoli

Altra grande promessa, quella degli antinfiammatori e in particolare del Tocilizumab, applicato su alcuni pazienti con successo all'ospedale Cotugno di Napoli. Si tratta di un anticorpo monoclonale realizzato in modo da legarsi al recettore dell’interleuchina-6, un molecola strettamente coinvolta nel processo di infiammazione e presente a livelli elevati nei pazienti con artrite reumatoide o nei pazienti oncologici (che presentano la sindrome da rilascio di citochine in seguito alla somministrazione di una terapia CAR-T). Il farmaco agisce, appunto, come antinfiammatorio: impedendo all'interleuchina-6 di legarsi ai suoi recettori, riduce l'infiammazione.

Anche nei casi gravi di polmonite interstiziale causati da Covid-19 si assiste alla cosiddetta sindrome da rilascio di citochine, che ha come conseguenza una grave insufficienza di organi e infine la morte. Il farmaco, quindi, è una terapia non diretta contro il virus in sé, ma contro una delle reazioni che l’organismo mette in atto come meccanismo di difesa nei confronti del virus, cioè la risposta infiammatoria.

Il Tocilizumab viene distribuito gratuitamente dalla Roche ormai da giorni alle Regioni che ne fanno richiesta ed è arrivato il via libera dell'Agenzia italiana del farmaco per una sperimentazione su larga scala, che coinvolgerà in primis proprio l'ospedale di Napoli e quello di Modena. Dagli esiti della terapia su 330 pazienti gravi (già intubati) e su un secondo gruppo più esteso di pazienti già trattati ma anche non intubati, verrà avviato uno studio comparato per testare la reale efficacia del farmaco.

Controlli al Pronto soccorso dell'ospedale di Brescia - Fotogramma

Il plasma dei guariti, la scomessa di Mantova

Poi c'è la via del plasma dei pazienti guariti, un componente del sangue che contiene un’alta concentrazione di anticorpi in grado di distruggere il virus. L’hanno già utilizzato i cinesi a Wuhan e una casa farmaceutica giapponese, Takeda, sta sviluppando un farmaco usando parti del sistema immunitario prelevate dal plasma delle persone contagiate dal nuovo coronavirus e poi guarite. «Da noi ha funzionato per i casi critici» ha dichiarato ieri il professor Liang Zongan, responsabile di medicina intensiva polmonare dell’ospedale universitario di Sichuan, uno dei nove specialisti arrivati dalla Cina in Italia per aiutare il nostro Paese a sconfiggere l’epidemia e scambiare la loro esperienza con quelle dello “Spallanzani” di Roma e del “Sacco” di Milano.

Ed è una strada, questa, che l’Italia sta già percorrendo. Proprio l’uso del plasma come terapia, infatti, è l’obiettivo del protocollo firmato in Lombardia da una serie di centri ospedalieri e di ricerca, fra cui l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Mantova, con capofila il Policlinico San Matteo di Pavia. L’Unità di crisi dell’Asst ha già autorizzato il prelievo del plasma da alcuni degenti tornati sani e in convalescenza. Per le infusioni ai malati si attende però l’autorizzazione delle autorità sanitarie: «L’utilizzo del plasma è ammesso dall’Oms nelle gravi epidemie virali per le quali non esistono terapie consolidate – spiega Franchini – ed è già stato impiegato, per esempio, per la Sars e l’Ebola». Ora si sta tentando anche per il coronavirus. «Il progetto è in fase avanzata – prosegue il direttore del centro trasfusionale del “Poma” –, la raccolta in sicurezza da donatori, che saranno attentamente selezionati, è stata autorizzata ma attendiamo il coinvolgimento di altre realtà territoriali per poterci muovere insieme e, soprattutto, il “placet” dell’organismo di consulenza tecnica e scientifica del Ministero della salute, perché tutto si deve svolgere entro rigorosi binari, sentiti anche i Comitati etici».

L'antimalarico, ci crede la Francia

Da anti-malarico ad anti-Covid. Dopo un primo studio cinese, la vecchia clorochina, farmaco contro la malaria ormai “60enne”, è stato testato in Francia su pazienti con coronavirus, con risultati che fanno parlare l'autore della sperimentazione - l'infettivologo Didier Raoult dell'istituto Méditerranée Infection di Marsiglia - di "rivoluzione". Il farmaco infatti, è stato somministrato a 24 pazienti e, dopo soli sei giorni, ben tre quarti dei 24 pazienti non erano più positivi al virus. E ancora: in combinazione con l'antibiotico azitromicina, specifico contro la polmonite batterica, il trattamento ha totalmente guarito i pazienti dopo una settimana, mentre il 90% dei malati che non avevano assunto farmaci era ancora positivo.

La Clorochina avrebbe due effetti per accelerare l'eliminazione del virus, spiega Raoult: modificherebbe prima l'ambiente acido del vacuolo della cellula, un piccolo sacchetto di liquidi protetto dalla membrana che serve da tana per i virus. Aumentando il suo pH, l'equilibrato ecosistema di questo “rifugio” del virus viene ad essere “scombussolato” e viene così impedita l'azione degli enzimi coinvolti nel meccanismo cellulare utilizzato dal virus per replicarsi. I detrattori dello studio sostengono però che questo approccio non abbia il rigore, i protocolli e il numero di pazienti richiesti dai comitati di scientifici, chiamati a valutare l'efficacia di una molecola terapeutica rispetto a un gruppo di controllo placebo. «In assenza di dati clinici importanti e pubblici, non si possono dedurre prove di efficacia e tanto meno elaborare raccomandazioni», riassume Francois Maignen, specialista di Salute pubblica.

Anche per gli antimalarici, in particolare Clorochina, l'Aifa ha dato il via libera all'uso off label in Italia.

Un farmaco specifico in Olanda

Un primo passo per la creazione di un farmaco specifico contro la Sars-CoV-2 è invece stato compiuto in Olanda. I ricercatori dell'Università di Utrecht, insieme ad altri dell'Erasmus Medical Center e della società biotecnologica Harbour BioMed, hanno sviluppato un anticorpo umano in grado di inibire il nuovo coronavirus. «È un primo passo promettente, ma è troppo presto per speculare sulla potenziale efficacia per l'uomo», sottolinea l'Università di Utrecht. Non è stato testato sull'uomo, un processo che richiederà mesi, sottolinea la Bbc, che riferisce che gli scienziati stavano già lavorando su un anticorpo per Sars1 e quando è scoppiato il nuovo coronavirus hanno affermato di aver scoperto che gli stessi anticorpi hanno reagito in modo incrociato e bloccato l'infezione. I loro risultati sono in fase di revisione e l'anticorpo deve ancora essere rigorosamente testato.

Così i medici si prendono cura ef effettuano prelievi e infusioni sui malati all'ospedale Columbus Covid di Roma - Reuters

Le staminali in Cina

I trattamenti a base di cellule staminali rappresentano una ulteriore strada percorribile per combattere le infezioni causate dal nuovo coronavirus. La notizia arriva da chinaXiv.org, l'archivio di pubblicazioni scientifiche dell'Accademia Cinese delle Scienze ed è stata rilanciata da Bioscience Institute, azienda specializzata nella crioconservazione delle staminali. Un gruppo di esperti guidato
da Bing Liang del Baoshan Peoplès Hospital ha pubblicato i dettagli del caso di una donna cinese di 65 anni positiva al Sars-CoV-2 le cui condizioni di salute, ormai molto gravi, sono significativamente migliorate dopo un trattamento a base di cellule staminali mesenchimali (MSC).

Non solo, un altro gruppo di esperti ha pubblicato su chinaXiv.org i risultati delle infusioni di MSC cui sono stati sottoposti 7 pazienti affetti da Covid-19 (1 in condizioni molto gravi, 4 gravi e 2 lievi). I 7, trattati allo YouAn Hospital di Pechino, hanno visto migliorare significativamente il proprio stato di salute. Le sperimentazioni cliniche basate sull'uso delle cellule staminali condotte fino ad oggi in Cina sono almeno 14. Studi condotti sugli animali avevano suggerito che queste preziose cellule potessero riparare il grave danno d'organo causato dal Sars-CoV-2. Inoltre, alle MSC è stata associata una forte capacità di modulare l'attività del sistema immunitario. In particolare, queste cellule staminali producono citochine (molecole coinvolte nei processi infiammatori) e possono interagire direttamente con le cellule del sistema immunitario. Né l'infusione effettuata al Baoshan Peoplès Hospital né i trattamenti condotti a Pechino hanno prodotto effetti collaterali evidenti. Le MSC, quindi, sono ben tollerate dai pazienti.

E il vaccino?

È partito in tempi rapidissimi negli Stati Uniti il primo test di un vaccino contro il coronavirus e l'Europa ha annunciato che la sua sperimentazione potrà partire in giugno: la ricerca corre veloce e affina le armi contro un virus mai visto finora, ma nessuno si illude che i tempi saranno brevi. Ci vorrà da un anno a un anno e mezzo per avere il vaccino, mentre la durata della pandemia è ancora
imprevedibile, come indicano anche i dati sui casi in Italia. La ricerca ha mantenuto la sua promessa più grande: a metà febbraio il direttore dell'istituto statunitense per lo studio delle malattie infettive Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) aveva annunciato che entro due o tre mesi sarebbe iniziato il test del vaccino messo a punto con collaborazione con l'azienda Moderna e con la Coalion for Epidemic Preparedness Innovation (Cepi) e puntualmente il vaccino è stato iniettato lunedì 16 febbraio al primo dei 45 volontari sani a Seattle, una donna. È un vaccino a Rna messaggero, ossia un vaccino sintetico, che non utilizza il virus ma la sua informazione genetica. Dopo questa prima fase di test sull'uomo ce ne saranno altre due per avere tutte le risposte necessarie su sicurezza ed efficacia e poi bisognerà aspettare i tempi tecnici per la produzione.

È un vaccino a Rna messaggero anche quello che l'azienda biofarmaceutica CureVac, attiva fra Germania e Stati Uniti, si prepara a sperimentare in giugno. L'annuncio è arrivato dalla Commissione Europea ha annunciato che la CureVac «ha già avviato il suo programma di sviluppo di un vaccino anti Covid-19 e si prevede l'avvio di test clinici a partire da giugno 2020». Luce verde intanto alla sperimentazione sugli animali del vaccino contro il coronavirus Sars-Cov2 progettato sempre in Italia dell'azienda Takis. I test, il cui avvio è previsto in settimana, sono autorizzati del ministero della Salute e sono i primi del genere in Europa, ha detto l'amministratore delegato dell'azienda, Luigi Aurisicchio. Sono il primo passo, ha aggiunto, per portare il vaccino all'uso umano.