Attualità

Lo studio. Famiglia, Italia agli ultimi posti

ALESSIA GUERRIERI domenica 3 luglio 2016
Vero è che siamo nella parte bassa della classifica, alla posizione 39 su 46. Vero anche, comunque, che l’Italia non scivola ancora più in basso proprio per la qualità delle relazioni che nascono dentro e fuori casa. La solidarietà inter-generazionale in famiglia, con i nonni che aiutano figli e nipoti e viceversa, come pure la solidarietà di amici e il vivere l’associazionismo restano il fiore all’occhiello del nostro Paese. Ma non bastano a renderci modello. A pesare e a «rendere un’impresa così il mettere su famiglia in Italia», infatti, sono le risorse economiche e i servizi scarsi, oltre ad una instabilità d’orizzonte (anche lavorativa) che molto spesso si trasforma in instabilità coniugale. E, dunque, porta a non scegliere d’investire sul 'noi' e sul 'per sempre'. Il nostro Paese, perciò, si piazza nella categoria del Vorrei, ma non posso, secondo l’Indice globale indipendente sulla famiglia (Igif), l’innovativo indicatore pensato dall’Università Cattolica di Milano che insieme alla Fondazione Novae Terrae (diretta da Luca Volontè) ha redatto il primo rapporto sul diritto alla famiglia nel mondo. Diciannove parametri raggruppati in quattro categorie che spaziano dalla struttura della famiglia (tasso di natalità, età del primo figlio, propensione al matrimonio e tasso di divorzio) alle risorse economiche del nucleo (tasso di partecipazione dei coniugi, disoccupazione giovanile e lavoro femminile), passando per le risorse offerte dal contesto (offerta servizi all’infanzia, congedi, spesa pubblica per la famiglia e agevolazioni fiscali) fino ad arrivare alle risorse sociali (solidarietà tra generazioni, associazioni familiari, inclinazione al dono).  Ed è così che Danimarca (0,70), Nuova Zelanda (0,675), Svezia (0,674) e Norvegia (0,66) guadagnano i primi posti in classifica, seguiti a 0,64 da Israele, Germania e Svizzera che chiudono la categoria del Potrei, ma non voglio. Bisognerà arrivare quasi a metà della lista per scorgere Paesi a cui spesso si guarda con ammirazione come la Finlandia (0,56), il Regno Unito (0,54) e gli Stati Uniti (0,53). E scorrere fino al trentanovesimo posto per trovare l’Italia con Igif a 0,49, seguita solo da Serbia (0,47), Polonia (0,46), Repubblica Ceca (0,44), Repubblica Slovacca (0,43), Perù (0,40), Croazia (0,37) con all’ultimo posto la Macedonia (0,36). Cosa spinge a 'fare famiglia'? Le risorse disponibili, i servizi offerti dallo Stato, la rete di protezione di amici e nonni? Una cosa è certa. Non ci si sposa e si fanno figli solo con i soldi o soltanto se il territorio in cui si vive offre opportunità di conciliazione famiglia-lavoro o aiuti per la cura della prole. A guardare l’Igif delle 46 nazioni prese in esame, in realtà, la discriminante sembra essere il contesto culturale e valoriale in cui si è nati, accanto alla rete di relazioni parentali ed associative in cui si è inseriti. Anche perché, persino tra i Paesi sul podio, non c’è una diretta corrispondenza tra elevate risorse economiche e servizi e l’aumento della propensione al matrimonio e a generare figli. Anzi, la struttura della famiglia sembra più solida e numerosa proprio nelle nazioni in fondo alla classifica. Questo perciò spinge ad ipotizzare – si legge nelle conclusioni del report coordinato da Giovanna Rossi, direttore del centro di ateneo Studi e ricerche sulla Famiglia – che «il sostegno alla famiglia debba puntare su risorse 'altre' a carattere reticolare ed associativo, in grado di valorizzare le dimensioni più propriamente sociali della famiglia». Ciò che i dati non dicono ma che «emerge in controluce », quindi, è il «peso rilevante» delle reti: familiari, parentali, associative, di mutualità e cooperazione sociale.