Attualità

Europee. Fake news sul voto, gli allarmi di Usa e Ue

Angelo Picariello martedì 9 aprile 2019

C’è un allarme crescente delle cancellerie europee per le influenze che possono venire dall’esterno nella campagna elettorale europea, in cui lo stesso processo unitario si gioca gran parte del futuro, messo sotto pressione dagli effetti della crisi e dei flussi migratori. L’Italia si trova ad essere parte - e non marginale - del problema, osservata speciale non più solo sulla tenuta dei conti.

La preoccupazione sull’ingresso delle fake news, e più in generale della disinformazione pilotata o del traffico di informazioni riservate, era stata affacciata dalla cancelliera Angela Merkel al presidente Sergio Mattarella nel corso della sua visita a Berlino, lo scorso gennaio. Entrambi ne hanno fatto esperienza diretta: solo pochi giorni prima la cancelliera era stata destinataria di un attacco hacker volto ad acquisire informazioni riservate dalle chate mail personali, che ha preso di mira anche il Bundestag e i parlamenti federali.

Il nostro capo dello Stato aveva invece dovuto registrare l’ingresso in campo, nottetempo, fra il 27 e il 28 maggio dello scorso anno, di 3-400 profili falsi a sostegno dell’hashtag #mattarelladimettiti , collegato alla richiesta minacciata dal M5s - e poi ritirata - di impeachment. L’ipotesi iniziale di una centrale russa dietro l’attacco poi ha perso credibilità, ma l’episodio è servito a evidenziare, anche in Italia, la vulnerabilità dell’informazione in Rete, e l’estrema inaffidabilità delle notizie via social.

Che si tratti di notizie false fabbricate ad arte per eccitare paure e rancori diffusi, o di informazioni vere ma 'rubate' violando la segretezza della messaggistica, il risultato è lo stesso: l’opinione pubblica può essere - con poche mosse e in larga percentuale - condizionata, fomentata e impaurita ad arte. «C’è un’industria dell’influenza di dimensioni globali e che attacca la politica, ma anche l’economia e la scienza. Non vi è dubbio che l’industria delle fake news si muoverà in Italia e in Europa per orientare il voto.

Anche se smascherate, esse lasciano una traccia profonda nell’opinione pubblica», spiega Francesco Pira, docente di comunicazione e giornalismo a Messina, fra i maggiori analisti del fenomeno. I guru dei social capiscono che rischiano di restare seppelliti dal crollo del grattacielo che loro stessi hanno creato. Mark Zuckerberg ha promesso che Facebook darà vita a una lotta globale senza quartiere alle fake news. Sollecitati dalla Commissione Europea, anche i colossi di Google, Twitter e WhatsApp hanno promesso che si sarebbero dati delle strutture di fact checking più stringenti in vista del voto.

Hanno poi inviato le loro buone pratiche in corso. E anche i partiti sono stati invitati a garantire la trasparenza delle loro comunicazioni. Ma la sensazione di voler svuotare il mare con il secchiello degli algoritmi resta tutta. Paradossalmente a studiare e a denunciare il fenomeno sono ora proprio gli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump è accusata di averne beneficiato attraverso il Russiagate. Paolo Messa, ex consigliere Rai e membro senior dell’Atlantic Council di Washington ha curato uno studio sulla 'cyber-guerra' per le edizioni Bocconi ( L’era dello Sharp power). Che parte da un documento della National Endowment Democracy, fondazione americana che denuncia il tentativo di Russia e Cina che intendono farsi strada «con un’opera di propaganda tanto silenziosa quanto efficace» di una «asimmetria macroscopica» sulla libertà di espressione, limitata e censurata in casa propria e sfruttata e condizionata in casa altrui, con il tentativo di «estendere la propria influenza all’estero con un’opera di propaganda tanto silenziosa quanto efficace» nel dibattito democratico.

Un insolito attivismo dell’ambasciatore degli Usa in Italia, Lewis Eisenberg, in occasione dei 70 anni della Nato lo ha portato a incontrare i partiti di opposizione in Italia (Pd e Forza Italia) e a denunciare la sottovalutazione dei rischi da parte del governo sulle influenze del governo. Dopo la Cina, un allarme ancora più pressante è stato lanciato dagli Usa nei confronti della Russia. John Balton, consigliere di politica estera di Trump, ha denunciato il «tentativo di Mosca di approfittarsi delle preoccupazioni del popolo italiano e amplificare le sue delusioni».

O di «esagerare in modo grossolano » gli effetti sulla nostra economia delle sanzioni russe, allo scopo di creare consenso intorno all’obiettivo di abbatterle. Una forte preoccupazione da parte degli Stati Uniti per la sicurezza dei dati riservati dell’Alleanza atlantica è stata portata alla luce in occasio- ne della firma del memorandum Italia- Cina. Spiega Messa: «Non bisogna vedere il fantasma della Russia o della Cina dietro ogni malfunzionamento della nostra democrazia», come insegna ad esempio il caso dei troll, i profili falsi - rivelatosi tutto domestico andati all’attacco di Mattarella.

«Ma al tempo stesso ignorare le capacità di influenze di questi attori potrebbe essere fatale», denuncia Messa. «Il nostro Paese si presenta fragile e vulnerabile di fronte alle influenze straniere». L’allarme sicurezza dati, ora, vede gli Usa sullo stesso fronte della Ue: «Non è una fragilità solo nostra, ma da noi deve accrescersi la consapevolezza che esiste ancora un muro di Berlino, ancorché immateriale, che separa i Paesi democratici da quelli autocratici, che ci chiede da quale parte stare. E dall’altra parte dell’Atlantico - conclude Messa - veniamo guardati con fiducia, ma anche con attenzione al futuro della Nato». Anche la nostra intelligence è allertata: «È un tema rilevante alla nostra attenzione contenuto nella relazione annuale sei Servizi inviati al Parlamento», dice il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, del Pd. Ma con un governo che fa a gara a tessere la tela con Russia e Cina, e a litigare con la Ue, i timori riferiti all’Italia su disinformazione e sicurezza dati restano tutti.