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Il personaggio. Faccia da cinema, la storia di Fabiano Lioi e della sua malattia rara

Pino Ciociola mercoledì 8 febbraio 2023

Gliel’hanno detto in parecchi: “Hai la faccia da cinema”. In effetti attore lo è, ha girato film e fiction. È anche musicista, scrittore, performer, curioso, artista. Quarantacinque anni, cocciutaggine come pochi, voglia di migliorarsi e l’osteogenesi imperfetta, tutto quanto in un metro e quindici d’altezza. “A dire il vero ero un metro e tredici – racconta -, ma durante il Covid mi sono rotto il collo e l’operazione mi ha allungato di due centimetri”.

Fabiano Lioi è incredibile, non si ferma mai, dorme su un tatami, gira il mondo da solo con la carrozzella e se gli chiedi qual è il suo film migliore, risponde “il prossimo”, convinzione che vale anche per le emozioni: “La più bella che ho provato sarà la prossima”. Il passato ha poco peso: “Non vivo di ricordi, semmai sono i ricordi che devono vivere in me”, spiega. Soprattutto non bisogna provocarlo facendogli notare che un sacco di cose non può farle: “Lo dici tu, perché dal tuo punto di vista non posso farle – ribatterà senza scomporsi -, non è però che io non possa fare un sacco di cose perché è il punto di vista degli altri”.

Morale pragmatica di Fabiano, insomma? “Dio mi ha dato quattro carte per giocare a poker e non posso cambiarle – dice ridendo -. Ma posso bluffare. E con questa faccia faccio certi bluff…”

La sua malattia (rara) comporta fragilità delle ossa, in neanche mezzo secolo ha superato le trecento fratture, poco male, “queste si dimenticano, non quello che ciascuna mi ha insegnato”. Come “non avere mai troppa paura. Ogni volta che l’ho avuta, che ho pensato troppo a quel che volevo fare, poi mi sono rotto qualcosa”. Si è fratturato anche sul quad, ha fatto parapendio e immersioni, giusto per dirne qualcuna. Vorrebbe buttarsi col paracadute e fare bungee jumping, “ma dopo essermelo rotto, i medici dicono che per il mio collo sarebbe troppo pericoloso”. Giura allora che non lo farà? “Non giuro mai quel che non farò…”, replica sornione.

A proposito di ossa rotte, Fabiano ha scritto un libro: “O.I. L’arte in una frattura, che è “un racconto senza finale, la storia di una patologia – come lo definisce -, un percorso visivo, una strada lastricata di opere inusuali, le lastre, e un catalogo d’arte, la raccolta di una mostra mai realizzata”.

Sul lavandino della cucina, Fabiano tiene sempre un lungo mestolo che dalla carrozzella usa per aprire e chiudere il rubinetto. Fa (e offre) il caffè solo nella sua moka originale napoletana, quella che va rigirata. Nel suo studio, sulla scrivania c’è il computer, un mixer e un bel po’ di casino a base di fogli e libri. Nella stanza da letto, anzi appunto da tatami, ci sono tre chitarre, un basso e una cassa. “Voglio diventare il migliore, ma non perché sono disabile o chissà che. Dio ci ha dato il libero arbitrio? Nel mio c’è la volontà di essere il migliore”, dice. “E poi sono bello, ma bello bello in un modo assurdo”. L’unica competizione che gli interessa “è quella con me stesso. Ma me stesso è molto esigente”.

Non ha problemi a raccontarsi. “Si piange, io piango a volte. Ma mi guardo allo specchio cinque, dieci minuti e mi dico ‘come risolviamo il problema?”. Ecco, “questa è la genialità, è qualcosa che ti suggerisce ‘va bene, un problema c’è, troviamo una soluzione’”.

Morale pragmatica di Fabiano, insomma? “Dio mi ha dato quattro carte per giocare a poker e non posso cambiarle – dice ridendo -. Ma posso bluffare. E con questa faccia faccio certi bluff…”.