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ANALISI. F35, storia di un progetto che fatica a prendere quota

Luca Liverani mercoledì 26 giugno 2013
Se ne parla ormai da oltre quindici anni. Ma quello dell’F35 – il cacciabombardiere Jsf Lochkeed-Martin disponibile anche a decollo verticale – è un programma che fatica a prendere il volo. I costi in crescita, che hanno coinciso con la crisi economica mondiale, si sono andati a sommare a problemi tecnologici. Spingendo diversi Paesi a una pausa di riflessione, se non a una retromarcia sui 3mila velivoli programmati complessivamente. Questi ultimi anni hanno dunque visto un acuirsi del braccio di ferro. Da una parte l’ex ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, che come responsabile politico del governo Monti ha accelerato sulla decisione da lui stessa sottoscritta quando, come ammiraglio e segretario generale della Difesa, aveva firmato a Washington il memorandum di intesa per l’Italia. Il 24 giugno 2002 - come riportato dal verbale del Dipartimento Usa della Difesa - l’ammiraglio statunitense Jack Hudson, direttore del programma Joint Stike Fighter, definiva compiaciuto Di Paola «un formidabile sostenitore del programma Jsf in Italia». Col governo dei tecnici, Di Paola diventa controllore politico delle decisioni da lui sottoscritte dieci anni prima e via via avallate per la fase di studio dai governi D’Alema, Berlusconi, Prodi. E per l’acquisto di 131 velicoli dal governo Berlusconi nel 2009.Dall’altra parte del braccio di ferro però c’è un crescente movimento di opinione che giudica insostenibile una spesa del genere, in tempi di tagli e revisione della spesa che colpiscono con durezza scuola, sanità, welfare e cultura. Il 2009 infatti è anche l’anno di nascita della campagna "Taglia le ali alle armi", animata da Rete italiana per il disarmo Controllarmi, Tavola della Pace e Sbilanciamoci. Un ampio cartello che raccoglie associazioni, movimenti e sindacati di ispirazione laica e cattolica. Per ora la crescita dei costi di produzione ha spinto la Difesa a ripensare il numero di caccia da acquistare: il 15 febbraio 2012 l’annuncio che - a spesa invariata - gli aerei da 131 caleranno a 90.Davanti al crescente fronte contrario, che fa breccia tra i partiti, la Difesa ripete che è una spesa indispensabile per l’Italia. L’F35 è un cacciabombardiere, spiegano i tecnici, con capacità di trasporto ordigni nucleari, con caratteristiche stealth, cioè di bassa rilevabilità dai radar, che sarà prodotto in tre versioni: a decollo convenzionale (Ctol), a decollo verticale (Stovl), a decollo con catapulta per le portaerei attrezzate (Cv). L’Italia è interessata alla prime due versioni. Nella fase di sviluppo ha fatto scalpore l’allarme degli Usa sulla vulnerabilità ai temporali. Paradossale per un aereo soprannominato Lightining, cioè fulmine... «Ordinaria amministrazione, in questa fase, che verrà corretta», ha dichiarato il colonnello Giuseppe Lupoli del segretariato generale della Difesa. I 90 Jsf, insistono i militari, sono indispensabili per sostituire 253 aerei che stanno arrivando anche a 40 anni di servizio: cioé gli Amx e i Tornado dell’Aeronautica e gli Harrier a decollo verticale della Marina.Tra gli argomenti forti a favore dell’acquisto dei caccia miliardari c’è l’argomento del lavoro. L’Italia infatti, tra i nove paesi che partecipano al progetto, ha allestito a Cameri (Novara) una linea di assemblaggio per ali con componenti prodotti da una filiera di oltre 60 ditte italiane. Lo stabilimento è stato costruito dentro l’aeroporto militare su richiesta degli americani, che non si fidavano di farlo costruire in ambienti civili. La Lochkeed-Martin ha comunque l’esclusiva sui codici sorgente del software e sulla tecnologia stealth. Secondo la Difesa «il programma Jsf impiegherà in Italia circa 10 mila lavoratori, tra diretti, indiretti e terziario, cioè quelli che già lavorano sulla produzione e manutenzione dei velivoli Eurofighter», in via di dismissione. Non si tratterà dunque di nuovi posti di lavoro, ma di mantenimento dell’esistente.Il fronte dei contrari ricorda che un mezzo micidiale da attacco come l’F35 è incompatibile e l’articolo 11 della Costituzione, che «ripudia la guerra» . Ma soprattutto è uno spreco impressionante di risorse. Un’anomalia tutta italiana? Non sembra, a scorrere la lista dei Paesi partner che sta ripensando su un programma così oneroso: Olanda, Australia, Canada, Danimarca, Norvegia. Pacifismo ideologico o necessità di allargare anche alla Difesa la revisione della spesa?