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Caso choc di maternità surrogata. «Errore umano» in Nepal coppia gay restituisce bimba

STEFANO VECCHIA martedì 12 gennaio 2016
La controversa apertura del Nepal alla maternità surrogata, che aveva creato una situazione di sfruttamento di donne locali e immigrate, evidenziata ancor più nel post-terremoto del 25 aprile 2015, sembrava risolta con una ordinanza della Corte suprema che lo scorso agosto aveva sospeso la pratica se rivolta a soddisfare la necessità di prole di cittadini stranieri, in attesa di abolirla legalmente. Una proibizione che aveva suscitato poche polemiche e ancor meno problemi, dato che il governo di Kathmandu aveva concesso l’uscita dal Paese dei bambini già nati e dei futuri nascituri. Il blocco ha in particolare colpito cittadini israeliani che per facilitazioni burocratiche e organizzazione rodata hanno più di altri in tempi recenti utilizzato la nazione himalayana per soddisfare la loro ricerca di una prole per procura. Per questo, sta avendo una forte risonanza proprio in Israele il caso di una coppia di uomini gay che ha ricevuto una figlia geneticamente non propria. Ovvero non sviluppatasi da un ovulo fertilizzato dal seme fornito dalla coppia che il mese scorso si era recata in Nepal per attendere la nascita della bambina e per alcune settimane dopo il ritorno in patria, in attesa dei test genetici abituali affinché venisse accertata la paternità, avevano scoperto la verità. Come conseguenza, la coppia ha dovuto restituire la piccola ai genitori biologici e attende ora il parto di un’altra madre surrogata che dovrebbe essere in attesa del risultato di una gestazione per procura. L’agenzia intermediaria Tamuz, responsabile per questo che è stato definito un incidente ha indicato come responsabile un raro «errore umano». Come conseguenza, nello Stato ebraico in molti hanno ora sollevato dubbi sulla possibilità che altri casi del genere abbiano riguardato coppie in cerca di un figlio ottenuto da gravidanza surrogata, all’estero ma anche all’interno. Dana Magdassi, proprietaria di un’altra agenzia specializzata, citata dal quotidiano Haaretz, ha ammesso la possibilità che un «errore umano» del genere «non possa verificarsi solo all’estero». Al contrario, «credo che sia meno probabile all’estero in quanto i medici sanno che alla fine del procedimento è obbligatorio il test genetico e quindi sono doppiamente cauti», ha segnalato. La legge sulla maternità surrogata in vigore in Israele risale al 1996 e ammette la pratica soltanto per coppie eterosessuali, oltre a imporre vari limiti all’utilizzo di donne locali. Come conseguenza, ma non in modo esclusivo, le coppie omosessuali hanno individuato da tempo il Nepal come luogo privilegiato dove ottenere quanto negato in patria.