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Le reazioni. Bufera Pd: il segretario nel mirino. Euforia centrodestra. Tensione in M5S

Marco Iasevoli lunedì 6 novembre 2017

Alle 22.01 di ieri, puntuale, è scattato il processo a Matteo Renzi. Processo silenzioso, per ora. La posta in gioco è nota: la formazione di una coalizione di centrosinistra larga, aperta eventualmente anche a chi ha lasciato il Pd, in cui Renzi svolga un ruolo defilato a favore di una leadership più "unitiva", come potrebbe essere quella di Paolo Gentiloni.

Il segretario del Pd ha commentato indirettamente gli esiti nazionali del voto siciliano in un lungo post su Facebook dedicato stamattina all'annullamento del confronto televisivo da parte del candidato premier M5S Luigi Di Maio: "Chi è il leader del Pd lo decidono le primarie, cioè la democrazia interna. Non lo decidono le correnti, non lo decide il software di un'azienda privata, non lo decide Di Maio". Sembra una risposta a Di Maio, ma è anche una risposta a chi pensa che sarà facile fargli fare un passo di lato per favorire un ricongiungimento tra Pd e Mdp.

La presa di posizione di Renzi è legata ai dati reali che arrivano dalla Sicilia, che mostrano come la coalizione di centrosinistra sia andata molto meglio di Micari. Anche il Pd alla fine si assesta su percentuali più accettabili rispetto agli exit-poll. E la somma tra la coalizione di centrosinistra e la lista-Fava porta a percentuali inferiori ma non lontanissime da quelle di Musumeci e Cancelleri. Per il segretario, vuol dire che la débacle siciliana è dovuta soprattutto alla scelta della sinistra di Bersani e D'Alema di correre separata, che avrebbe spinto parte dell'elettorato di centrosinistra a premiare la coalizione trainata dal Pd ma a concentrare il voto per il candidato-governatore su chi aveva più possibilità di successo, ovvero Musumeci o Cancelleri. "Abbiamo perso per colpa di Bersani", dice il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato in un'intervista a Repubblica. Mentre ieri notte i primi commentatori renziani, tra i quali Davide Faraone, avevano accusato della sconfitta Pietro Grasso, il presidente del Senato che avrebbe declinato l'invito a correre come candidato-governatore del centrosinistra unito. "Prendersela con Bersani e Grasso - risponde però il prodiano del Pd Franco Monaco - è un patetico esorcismo". Poste queste condizioni, il dialogo a sinistra non sarà facile né scontato. Lo stesso Bersani mostra di crederci poco. Va però registrata la disponibilità del segretario del Pd a svolgere primarie di coalizione per decidere chi è il candidato premier, magari proprio contro il presidente del Senato Pietro Grasso, corteggiato insistentemente da Mdp.

Con i primi dati certi dai seggi, si è definita meglio anche la linea politica di M5S di fronte al probabile secondo posto di Cancelleri dietro Musumeci. "Siamo la prima forza politica del Paese e abbiamo tenuto testa alla grande all'accozzaglia del centrodestra e superato ampiamente quella che sarebbe formata da centro sinistra e sinistra. A neutralizzare il Rosatellum sarà il voto dei cittadini. Da domani sono al lavoro per portare il Movimento 5 Stelle tra quattro mesi davanti al Presidente della Repubblica per ricevere l'incarico di Governo". Assorbire la sconfitta, quindi, e capitalizzare i consensi siciliani su scala nazionale per chiedere al capo dello Stato, nella prossima primavera, il mandato a governare in qualità di primo partito.

I commenti nella notte

“I dati dei sondaggi nazionali appena diffusi confermano il Pd al 26,5% e la coalizione ben sopra il 30. Si tratta ora di lavorare senza indugi per giungere a formalizzare un’alleanza che sia alternativa alle destre e al populismo e lavorare da subito alle elezioni nazionali”. Queste parole di Lorenzo Guerini, dirigente di primo grado del Pd vicinissimo a Matteo Renzi, ieri notte esprimevano alla lettera le valutazioni del segretario dem circa il voto siciliano: l’insuccesso va archiviato subito e il tutto va derubricato alle dinamiche isolane. Ciò che conta è rimettersi in carreggiata per costruire una coalizione più ampia possibile per competere con M5S e centrodestra a livello nazionale.

Tuttavia, prima di poter realizzare questo disegno, Matteo Renzi, che in Sicilia per la campagna elettorale c’è stato poco e niente, dovrà superare un vero e proprio processo interno. Lunedì prossimo, infatti, è prevista una Direzione del Pd in cui tutti i massimi esponenti del partito, da Franceschini a Orlando, chiederanno al segretario dem di mettersi a servizio di un progetto più ampio, in cui lui possa dare il proprio contributo ma senza pretendere di ipotecare la coalizione con una candidatura a presidente del Consiglio. Può anche accadere che, arrivati a questo punto, con un centrodestra in crescita e M5S forte, sia lo stesso segretario del Pd a fare un passo indietro rispetto all’aspirazione personale di tornare a Palazzo Chigi, lasciando campo libero ad un leader della coalizione dal tratto più unitivo, come potrebbe essere Paolo Gentiloni. Non è nemmeno da escludere che Renzi si renda disponibile a primarie tra alleati, specie se a sinistra si rendesse disponibile per una sfida ai gazebo il presidente del Senato Pietro Grasso.

Appena otto giorni fa, dalla Conferenza programmatica del Pd, il segretario aveva assicurato che “non conta chi di noi va al governo, conta che ci vada il Pd”. Ciò nonostante, non è detto che questi passi siano sufficienti per riavvicinare la sinistra di Bersani e D’Alema, che chiede, insieme a un leader condiviso, anche un programma che in sostanza rinneghi i quattro anni di governo Renzi-Gentiloni. Insomma, tutti gli scenari sono aperti nel centrosinistra. I dati certi sono tre: primo, l’ex premier è più debole dopo il voto siciliano; secondo, controlla saldamente tutti gli organismi decisionali del Pd e, di conseguenza, terzo dato certo, esercita il più grande dei poteri che tocca al segretario, scrivere le liste elettorali. La discussione interna al Pd potrebbe influenzare anche la data del voto: se sino a ieri si davano per certe le urne a marzo, ora torna in pista l’idea, sebbene come ipotesi minoritaria, l’idea di proseguire la legislatura per più tempo possibile per poi votare a maggio. Le due opzioni continueranno a convivere per qualche settimana, poi i dubbi si scioglieranno.

Le parole di Guerini in qualche modo contemperavano le prime reazioni da parte di esponenti renziani del Pd, che puntavano il dito contro gli scissionisti che avrebbero causato la sconfitta in Sicilia e contro il presidente del Senato Pietro Grasso che avrebbe rifiutato la candidatura a governatore. “Glielo abbiamo chiesto per due mesi, alla fine lui non ha avuto il coraggio che ha avuto Micari”, rivela il dem siciliano Davide Faraone. “Vediamo quanto hanno pesato gli scissionisti”, annuncia battaglia il responsabile Enti locali del Pd Matteo Ricci. Guerini fa intendere però che lo stesso Renzi non vuole prolungare oltre le polemiche. E ieri notte appariva abbastanza surreale lo stacco tra Roma, dove il voto siciliano era considerato già archiviato, e Palermo, dove Micari continuava a sperare nei dati reali.

Del tutto diversi gli umori nel centrodestra. “La Sicilia ha sfiduciato il governo, andiamo a votare subito”, attacca il leader della Lega Matteo Salvini. Il risultato della lista congiunta con Fratelli d’Italia dagli exit-poll potrebbe essere lusinghiero e potrebbero confermarlo nella sua intenzione di “nazionalizzare” la Lega, passo necessario per ambire a essere il premier della coalizione. Anche Giorgia Meloni fa sapere che, prudenze a parte, quella di ieri è stata una “notte felice”. Tuttavia i dati reali hanno un po' smorzato l'entusiasmo di Salvini e Meloni perché la soglia del 5 per cento, a spoglio in corso, non è sicura. Soddisfazione e prudenza trapelavano anche da Arcore, dal quartier generale di Berlusconi: l’ex premier, contro ogni aspettativa, potrebbe uscire completamente rilanciato dal voto siciliano e centrale per i futuri assetti di governo nel Paese. “Puntiamo al 40 per cento, a governare in autonomia”, era la frase più battuta ieri da tutti i leader del centrodestra e anche di Forza Italia.

Silenzio e preoccupazione sul fronte di Alternativa popolare. Il partito di Alfano ha deciso di replicare con il Pd il “modello-Orlando” che ha vinto a Palermo, ma il risultato di lista potrebbe essere negativo e restare al di sotto del 5 per cento necessario per entrare in Consiglio regionale. Una batosta per il ministro siciliano degli Esteri che vuole, insieme a Casini, tenere in piede l’asse con Renzi ma che ormai ha numerosi esponenti del partito smaniosi di tornare nel centrodestra.

Dal punto di vista delle reazioni nazionali, tutti gli strateghi e gli spin doctor dei partiti tengono gli occhi apertissimi anche sulla composizione del Consiglio regionale. In Sicilia, infatti, è probabile che il vincitore, sia Musumeci o Cancelleri, non abbia la maggioranza. M5S proporrebbe un governo di minoranza, esattamente come immagina di fare a livello nazionale. Il centrodestra andrebbe a cercare appoggi nel centrosinistra, “sperimentando” nell’Isola quelle larghe intese di cui tanto si parla a livello nazionale. In realtà, guardando al Paese, i risultati di ieri in Sicilia, più che aumentare le probabilità di larghe intese, fanno crescere la preoccupazione per una sostanziale ingovernabilità. Se nell’Isola è possibile che componenti centriste e del Pd aiutino il centrodestra a governare, a Roma è inimmaginabile una maggioranza che vada da Lega-Fratelli d’Italia all’intera sinistra di governo.