Attualità

PRESIDENTE DI TUTTI. Che ascolti l'anima del Paese

Marco Tarquinio sabato 20 aprile 2013
Pubblichiamo, di seguito, l'editoriale, a firma di Marco Tarquinio, con cui Avvenire aprì la sua prima pagina l'11 maggio 2006, all'indomani dell'elezione al Quirinale del presidente Giorgio Napolitano. I grandi elettori hanno votato, i grandi elettori a maggioranza hanno deciso: Giorgio Napolitano è l'undicesimo capo dello Stato, il presidente di tutti gli italiani, chiamato a rappresentare l'unità del Paese e a garantire il sereno equilibrio tra i poteri. Lunedì prossimo, Carlo Azeglio Ciampi passerà a lui - che nel settembre scorso aveva chiamato al seggio di senatore a vita - il testimone in una staffetta del massimo livello istituzionale. I leader delle principali forze di opposizione hanno perciò fatto bene a riconoscere, senza tentennamenti, non solo l'ovvia e incontestabile pienezza di ruolo del prossimo presidente, ma anche il valore dell'uomo che una maggioranza preoccupata di blindare se stessa ha finito per eleggere in solitudine. E, per poco che sia, consola che almeno questo fair play sia emerso in giorni nei quali, complice il clima di vigilia elettorale amministrativa e il tumulto che sempre accompagna il cambio di inquilini nelle stanze del governo, alla flebile capacità di dialogo tra Unione e CdL hanno fatto da contrappunto non pochi slogan tronfi ed eccessivi. Al presidente Ciampi, verso il quale tutti hanno imparato a guardare con assoluta fiducia e con affetto, succede dunque una personalità rispettata, che nel corso di una lunghissima e convinta militanza nel Partito comunista italiano ha avuto modo di dimostrare doti di moderazione e un radicato senso dello Stato. In fondo a un percorso accidentato, nel quale purtroppo non ci si è fatti carico della necessità di dare al Paese un semplice e diretto segnale di unità e di continuità nello spirito del settennato precedente, egli è stato tuttavia eletto di misura. Ma la misura, in altro senso, è una virtù. E il presidente Napolitano ne ha tanta da poter diventare subito, con efficacia e limpida autonomia, un punto di riferimento per tutti, anche per chi ieri non ha potuto o voluto eleggerlo, anche per quella metà della nazione che da lunedì non potrà immediatamente specchiarsi in nessuna delle tre massime cariche della Repubblica.Chi lo conosce bene dice, infatti, di Napolitano che è «un uomo del dialogo» e, dunque, che «sa ascoltare». Alcuni passaggi chiave del suo itinerario politico sono lì a confermarlo. Ma, qui e ora, l'analisi del passato interessa relativamente, conta assai di più che la presidenza della Repubblica sia vocata a rappresentare - nella faticosa transizione in cui siamo immersi - un cruciale punto di raccordo e di equilibrio in quel cantiere del futuro del Sistema Italia che ad altri, ad altri livelli, spetta di animare. E proprio per questo è importante che l'attenzione sia rivolta anche fuori dai palazzi.È importante, insomma, che la riconosciuta «capacità di ascolto» di Napolitano, ora che potrà esercitarla dal Colle più alto, venga rivolta con continuità verso il Paese reale nella sua complessità.Che a essere ascoltata, compresa e interpretata sia l'anima profonda del popolo italiano. Un impegno che non merita disattenzioni o esitazioni, e che non può conoscere discriminanti. Il dato religioso costitutivo della cultura italiana - e, quindi, di una parte essenziale del nostro vissuto comunitario - non è un'etichetta formale o solo istituzionale, è un'esperienza di vita. Profonda. E quanti intendono il proprio ruolo pubblico come servizio alle istituzioni comuni e ai concittadini sanno - comunque si pongano, sul piano personale, rispetto alla fede religiosa - che questa realtà non può essere ignorata, misconosciuta o anche solo sottovalutata. Napolitano, ne siamo certi, è tra questi servitori della comunità nazionale. E da lunedì, ricevendo da Ciampi il testimone del "presidente di tutti", sa che passerà a lui il compito di ricomporre e rendere percepibile quel che in nome della politica appare diviso e che, invece, nella vita del Paese resta unito. Auguri, presidente. La prima pagina di Avvenire del 11 maggio 2006