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Istituzioni alla prova. Ecco le sfide di Renzi per il nuovo anno

Marco Iasevoli giovedì 1 gennaio 2015
La svolta entro gennaio, o nulla. La sfida delle riforme istituzionali si decide, in gran parte, nelle prossime 4-5 settimane. Tra il 7 e il 30 gennaio, lavorando a ritmo sostenuto, il Senato deve licenziare la nuova legge elettorale e la Camera la versione definitiva della "Grande riforma" che cancella il bicameralismo paritario e istituisce un Senato delle Autonomie, privo del potere politico di dare la fiducia al governo. Il calendario non lascia scampo: dal 14 gennaio ogni giorno è utile per attendersi le dimissioni formali del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da quel momento alla prima convocazione dei 1.007 grandi elettori passano 15 giorni. Le due riforme che cambiano l’assetto istituzionale del Paese devono incassare un "sì" prima, sia in omaggio al capo dello Stato uscente, sia come segnale di continuità e serietà ai cittadini e all’Europa.L’INTRECCIO MAGGIORITARIO - MONOCAMERALISMO. Il filo rosso che lega l’Italicum alla riforma del Senato (e del Titolo V, spesso colpevolmente dimenticato) è, in una parola: la governabilità. La nuova legge elettorale consente alla lista che ottiene il 40% dei consensi (o, se nessuno raggiunge questa soglia, vince il ballottaggio) di incassare il 55% dei seggi alla Camera. Una maggioranza certa e svincolata dall’obbligo di creare coalizioni dopo il voto. Inoltre, riducendo ad alcune materie - Europa, Regioni... - le piene capacità legislative di Palazzo Madama, i testi di legge avranno meno passaggi parlamentari.I NODI PREFERENZE E NOMINATI. La governabilità perseguita dai 2 ddl Renzi-Boschi-Delrio lascia però alcune perplessità. Con l’Italicum, ciascun partito avrà diritto a un capolista bloccato in ciascun collegio, mentre gli altri saranno votati con le preferenze. Chi sa far di conto ha stimato che almeno metà dei nuovi deputati saranno di fatto scelti dalle segreterie di partito. Se si aggiunge che i 100 senatori saranno scelti non dai cittadini, ma dai Consigli regionali, si comprendono le ragioni di chi lancia l’allarme su un deficit di rappresentatività e sul potere della maggioranza quando si tratterà di votare gli organi di garanzia o di legiferare su tematiche sensibili e controverse (il Senato, ad esempio, non avrà una voce significativa nemmeno sulle questioni etiche).IL "NAZARENO" E LA CLAUSOLA DECISIVA. L’equilibrio sinora raggiunto è frutto di trattative continue tra i due contraenti del Patto del Nazareno, Renzi e Berlusconi, ma anche delle forti pressioni su alcuni punti della minoranza del Pd e degli altri partner di maggioranza, in primis il Ncd. Il premier è convinto che la corda non si possa tirare oltre. Chi vuole preferenze a tutto spiano deve fare i conti con l’ex Cavaliere, il quale ha già digerito a malincuore il premio alla lista (e non alla coalizione). A meno di sconvolgimenti politici, non c’è dunque da attendersi grossi cambiamenti. Resta però aperto un ultimo punto fondamentale: per incassare il "sì" all’Italicum, Renzi deve offrire una clausola per cui la nuova legge elettorale entri in vigore solo a giugno o settembre del 2016, sia per tranquillizzare tutti quelli che temono il voto anticipato sia per consentire la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, senza la quale si assisterebbe all’anomalia per cui alla Camera si userebbe l’Italicum e al Senato il proporzionale secco del Consultellum. Dal varo dell’Italicum alla sua entrata in vigore come sistema di emergenza si userebbe infatti, in caso di voto anticipato, il sistema elaborato dalla Corte costituzionale dopo la bocciatura del Porcellum.UN PERCORSO ANCORA LUNGO. Al Senato, l’Italicum incasserà la seconda lettura. Dopo, ci vorrà però un terzo vaglio, che si immagina solo formale, di Montecitorio. La riforma del Senato ha invece l’iter speciale delle leggi costituzionali. Dopo l’ok della Camera, il testo deve tornare al Senato ed essere votato senza correzioni. Poi tre mesi di sosta, prima di altre due letture sul medesimo, identico dispositivo. Infine, forse nella primavera 2016, ci sarà il referendum popolare: anche se teoricamente esiste una maggioranza superiore ai due terzi, il Pd farà uscire dall’aula alcuni parlamentari per far esprimere i cittadini.