Attualità

Coronavirus. Fase 2, anche il carcere attende una svolta

Fulvio Fulvi giovedì 30 aprile 2020

Lunedì parte la “fase 2”. Ma che cosa succederà nelle carceri italiane? Tutto resterà come adesso o cambierà qualcosa? E in che direzione? La pandemia ha portato a rigide limitazioni dietro le sbarre: vietati i colloqui con i familiari, volontari costretti a rimanere fuori, misure di distanziamento fisico (quasi impossibili nelle celle), niente corsi né laboratori con l’apporto di personale esterno. I detenuti sono troppo vicini, a causa del sovraffollamento, e quindi sempre più a rischio contagio (anche se con la mascherina). I numeri ufficiali del 28 aprile sulla diffusione del Covid-19 negli istituti penitenziari ci dicono che c’è stata un’impennata di casi positivi: 150 (il 6 aprile erano solo 37) sulle 53.345 persone ristrette nelle 190 carceri italiane dove la capienza effettiva è di 46.731 posti. E 13 tra i contagiati sono ricoverati in ospedale.

Non si sa, peraltro, quanti detenuti siano stati sottoposti a tampone. Tra il personale, invece, i contagi sarebbero arrivati a 300, secondo i sindacati della polizia penitenziaria. Il “decreto aprile” firmato domenica dal premier Conte, prorogando di fatto le disposizione precedenti, per le carceri stabilisce soltanto che «i casi sintomatici dei nuovi ingressi sono posti in condizione di isolamento dagli altri detenuti, raccomandando di valutare la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare». «Si raccomanda – prosegue il provvedimento – di limitare i permessi e la semilibertà o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri, valutando la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare».

Nulla di nuovo, quindi, rispetto al precedente assetto anti-coronavirus. E le videochiamate con tablet e smartphone? Entrate come “surrugato” delle visite parenti, e come risposta alla rabbia montata con le rivolte all’interno di alcuni penitenziari nei primi giorni del lockdown, i detenuti si chiedono ora se resteranno anche dopo l’emergenza: potrebbe essere un modo per mantenere una continuità dei contatti con i propri cari, senza sostituire però i colloqui personali diretti, pur mantenendo la distanza di sicurezza di due metri.

Nonostante le limitazioni imposte all’inizio della pandemia, si registra un’impennata dei casi positivi tra reclusi e personale. E la Corte dei diritti umani chiede un chiarimento su Torino

Ci sono stati carcerati che grazie alla tecnologia a Pasqua hanno potuto salutare genitori, nonni, zii, che non vedevano da anni. Perché non stabilizzare allora questa opportunità, sempre con la necessaria vigilanza? Anche le attività didattiche e culturali e i percorsi rieducativi si svolgono adesso con il supporto delle videoconferenze con la partecipazione di esperti, testimoni, studenti e degli stessi reclusi: perché non creare un “sistema” che coinvolga più istituti penali? «Si tratterebbe di un’autentica rivoluzione culturale di enorme valore, che metterebbe al centro la responsabilità, cioè il cuore vero della rieducazione – commenta Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia e direttrice della rivistaRistretti Orizzonti.

Un’opportunità che offre, sostiene Favero, anche «gli strumenti fondamentali alle persone detenute, che non possono restare dei “senzatetto digitali” se non vogliamo che il reinserimento diventi ogni giorno più difficile in una società che le tecnologie le dovrà mettere sempre più al centro della vita di ognuno di noi». È in atto, in questi giorni, un confronto tra il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma e i suoi colleghi territoriali per individuare le linee da proporre al governo e riflettere sulle prospettive della “Fase 2”. Si è creata una specie di task force. «Ai Garanti allora diciamo che il volontariato e le cooperative sociali chiedono di essere coinvolti in questo dialogo – conclude Favero – e di esserlo da subito, perché è adesso che c’è bisogno di tornare a essere presenti capillarmente nelle carceri, ed esserlo portando idee, risorse, capacità innovativa». Intanto la Corte europea per i diritti dell’Uomo ha chiesto chiarimenti all’Italia sulla situazione nelle carceri in merito all’emergenza coronavirus. La pronuncia si riferisce, in particolare, all’istituto di pena delle Vallette, a Torino dove è scoppiato un focolaio dell’epidemia.