Attualità

IL CASO MONTECARLO. «Dossier creato ad arte da uomo legato al premier»

Angelo Picariello venerdì 24 settembre 2010
«Il dossier è stato prodotto ad arte da persona molto vicina a Berlusconi che ha girato per il Sudamerica, di cui al momento opportuno saprete il nome». È Italo Bocchino a suonare la carica per Gianfranco Fini, in mattinata, al margine della conferenza stampa in cui annuncia l’arrivo dal Pdl di Giampiero Catone a bilanciare l’uscita dal gruppo di Souad Sbai. Parte la grande controffensiva, il giorno dopo il titolone de Il Giornale su quella che doveva essere la "prova regina", per incastrare il presidente della Camera sull’ormai nota vicenda della casa di Montecarlo.Una giornata vissuta tutta sul filo dell’attesa. In realtà a quell’ora Bocchino il nome lo aveva già, ma per tutto il pomeriggio si chiudeva con un gruppo di fedelissimi alla ricerca di indizi e riscontri, promettendo la rivelazione per la sera, all’esordio stagionale di Annozero. Poi il nome trapelava, prima, dal sito di Repubblica: è quello di Valter Lavitola, editore e direttore dell’Avanti ed ex candidato di Forza Italia alle europee, che sarebbe stato anche visto con Silvio Berlusconi nella recente visita in Brasile. Sarebbe lui (che però già fa sapere di star meditando di sporgere querela e di stare a sua volta svolgendo un’inchiesta per il suo giornale sulle società off-shore, ma «i colleghi dominicani mi hanno fregato») ad aver materialmente confezionato, assicura Bocchino, il documento patacca. Tale risulterebbe essere anche secondo quanto pubblicava, in un’incalzante escalation di eventi, Il Fatto, divulgando una dichiarazione della stamperia dello Stato di Santa Lucia: «Il documento Tulliani non è nostro». «Abbiamo le prove che la società off shore che ha ceduto la casa a Giancarlo Tulliani non è di sua proprietà», assicurava Bocchino da Santoro. Lo stesso Lavitola parla però di «una bufala» costruita nei suoi confronti, «all’inizio mi sono messo a ridere», aggiunge.L’offensiva di Fli ricompatta il gruppo su posizioni più oltranziste. Chi ha parlato con Fini ieri lo descriveva amareggiato, ma anche determinato. «Non sopporto che si metta in discussione la mia onestà con metodi illegali, vogliono tagliarci le gambe, la verità è che hanno paura di noi», ragionava ieri con i suoi. «Abbiamo anche messo a disposizione Giulia Bongiorno, per studiare come stoppare i processi, e lui – si sfogava ieri il presidente della Camera, parlando con una "colomba" – schiera il giornale di famiglia per provare a incastrare me con i falsi dossier». E Bocchino, prima di dedicarsi per intero alla sua personale inchiesta sul caso, annunciava che di fronte «all’escalation mediatica contro Fini a base di falsità, non si seguiranno le vie brevi per il lodo Alfano ma quelle regolamentari». Intanto la proposta del presidente del Copasir Massimo D’Alema di accertare se ci sia stato, davvero, sulla vicenda, l’intervento dei servizi deviati trova un ampio consenso. «Bene D’Alema, gli confermiamo sostegno», dice il finiano Carmelo Briguglio. «Ineccepibile», concorda il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto.Ma si mostra sconcertata dal "clima torbido" anche un esponente dell’ala moderata finiana, quella che si stava dedicando alla ricucitura, come il capogruppo dei senatori, Pasquale Viespoli. «È come se qualcuno – dice scoraggiato – avesse un interesse a interrompere il filo del dialogo all’interno della maggioranza proprio quando questo filo si era riannodato».