Attualità

Basilicata. Dopo il rogo, lo sgombero. I 170 fantasmi di Felandina

Marina Luzzi, Metaponto (Matera) giovedì 29 agosto 2019

Immigrati in fuga con le bici dopo lo sgombero di ieri. La polizia ha allontanato chi era rimasto nell'opificio abbandonato dopo l'incendio del 7 agosto (Ansa)

Biciclette abbandonate sul guardrail ai lati della strada a scorrimento veloce. Materassi e reti portate a spalla, attraversando di corsa la strada statale 407, senza sapere dove andare. Sono le immagini desolanti dello sgombero del ghetto de 'La Felandina', a Metaponto di Bernalda, nei pressi di Matera. Qui, fino a ieri mattina, erano accampati i migranti superstiti del rogo che lo scorso 7 agosto è costato la vita alla giovane Eris Petty Stone, nigeriana di 28 anni. Delle circa 500 persone presenti nei giorni precedenti all’incendio dovuto ad una fuga di gas, (tantissime le bombole ed i fornelletti da campo sequestrati) secondo gli ultimi censimenti compiuti dalle forze dell’ordine, ne erano rimaste circa 170. Le altre avevano deciso di andare via autonomamente, purtroppo alla ricerca di un altro luogo abbandonato, da trasformare in ghetto.

Per molti migranti rimanere lì vicino è una necessità. Nelle campagne del metapontino ci lavorano come stagionali, e talvolta anche a nero. La prefettura locale ha chiesto alla Regione e alla Provincia di istituire un tavolo che risolva la crisi, legata a doppio filo al fenomeno del caporalato. È stato proposto ai migranti di essere ospitati in alcuni Sprar sparsi per la Basilicata ma molti hanno declinato per non perdere il lavoro. «I ragazzi si stanno sparpagliando nelle campagne o nella vecchia stazione di benzina, da questa mattina – racconta don Mariano Crucinio, parroco a Bernalda – e noi più di tanto non riusciamo a fare. Questa è una storia vecchia di 15 anni, anche se riguarda migranti sempre diversi. Occupano, vengono sgomberati e cambiano posto. Da un anno la nostra diocesi (Matera-Irsina, ndr) chiede a Regione e Prefettura il comodato d’uso di locali dismessi, in passato usati come campus universitario ma i tempi sono lunghi. Ci rendiamo conto che a La Felandina era pericoloso lasciarli e dal punto di vista igienico sanitario non era sostenibile ma bisogna fornire soluzioni concrete». Il forum Terre di dignità è nato all’indomani della morte di Petty. «La questione – spiega il presidente nazionale, Gianni Fabbris – va affrontata anche nell’interesse delle aziende, oltre che dei braccianti e delle comunità Rurali. Questo è un territorio dove ogni anno arrivano migliaia di braccianti di cui molti extra comunitari e senza di loro la nostra fermerebbe. Oggi tre imprenditori agricoli, di quelli in regola che pagano a tariffa e rispettano i contratti, mi hanno telefonato chiedendomi 'ma se li mandano lontano e li cacciano, noi come facciamo?'. Non ho avuto risposte. I numeri del personale che serve nelle campagne è prevedibile, sulla base dell’estensione dei raccolti. Occorrono servizi che mettano i braccianti temporanei in condizione di vivere degnamente».

Ieri sera il Forum si è riunito nella chiesa 'Mater Ecclesiae', dove di fatto è nato, per pensare ad altre rimostranze, dopo il sit-in degli scorsi giorni che ha visto scendere in strada braccianti e datori di lavoro onesti, insieme. Dallo scorso 4 luglio Medici Senza Frontiere ha lavorato nel ghetto per garantire visite mediche, diagnosi e cure. «Oltre 400 visite mediche, riscontrando patologie legate al tipo di lavoro ma anche alle cattive condizioni igienico-sanitarie – spiega Francesco Di Donna – per cui è necessario che a livello nazionale vengano adottate politiche di gestione di un fenomeno ormai strutturale. Gli sgomberi, senza soluzioni abitative alternative, non sono misure sostenibili, perché aggravano le vulnerabilità di queste persone». «Sono state settimane dure – confessa don Giuseppe Lavecchia, che gestisce la Caritas locale – che abbiamo gestito in sinergia con Comune, associazioni (Croce Rossa e Medici Senza Frontiere, ndr) preparando pasti nella mensa di una scuola chiusa per l’estate anche il giorno di Ferragosto. Io sono insegnante in un liceo ed ho chiesto aiuto anche ai miei alunni, che si sono prestati subito. Ecco, se c’è una cosa bella in tutta questa vicenda è come ne esce la comunità di Bernalda. Gente dal cuore grande, che si è dimostrata matura. Come Caritas diocesana siamo in prima linea, aspettiamo risposte dalla Regione per poter intervenire con un percorso di integrazione ed ospitalità almeno per un po’ di questi giovani. Tutto quello che facciamo, segue la legge. Non possiamo e non vogliamo scavalcare le istituzioni. Non saremmo di buon esempio».