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Editoriale. Difesa europea e retorica militarista. No ai racconti del terrore

Riccardo Redaelli sabato 24 febbraio 2024

Ma l’Europa è davvero, come capita di sentire nelle tribune televisive e social, in una situazione simile al 1938, con una nazione – ieri la Germania, oggi la Russia – che punta al dominio del continente? Ed è davvero realistica la minaccia – ripetuta ormai in continuazione – che Mosca possa aggredire la Polonia o i Paesi baltici, tutti membri della Nato? Ebbene, per quanto si capiscano le logiche di mobilitazione che stanno dietro a questi scenari da incubo, la risposta è no. Scomodare la storia, attribuendo all’oggi le situazioni del passato, ha un forte impatto retorico e emotivo, ma regge poco, anzi pochissimo, a una seria valutazione storica delle differenze.

E non già perché Putin non sia un dittatore cinico, spregiudicato e sanguinario. Lo è da sempre: molti politici e analisti europei che oggi lo avversano lo hanno scoperto solo dopo le aggressioni all’Ucraina del 2014 o, ancor peggio, del 2022. Ma bastava osservare le sue guerre in Cecenia di vent’anni fa, le stragi compiute dalle forze armate russe in Siria lo scorso decennio, la sua determinazione nell’eliminare – spesso fisicamente – ogni possibile opposizione, per capirlo.

No, le ragioni per non cedere a questi allarmi così angoscianti e così ripetuti stanno nell’analisi razionale delle forze in campo. Ogni Paese Nato è protetto collettivamente dall’art. 5, che impone ai suoi 28 Stati membri di intervenire a difesa dell’aggredito. Immaginate la potenza del combinato di tutte le aviazioni occidentali, tecnologicamente superiori, nei confronti di un’arma area come quella russa che è stata incapace di acquisire in due anni la piena superiorità aerea in Ucraina. Lo sappiamo noi e lo sanno i russi.

L’esercito russo, che ha dato pessima prova dal 2022, ha impiegato mesi e perso tantissimi uomini e mezzi per conquistare la piccola, fino a poco tempo fa, sconosciuta cittadina di Avdiivka. Mosca da tempo si inventa ogni mezzo per arruolare coscritti, è dovuta ricorrere alle armi scadenti della Corea del Nord, ha un’economia che si regge bruciando ogni risorsa per tenere a regime le fabbriche d’armi, ma come credere possa essere in grado di lanciare un attacco militare convenzionale – e di sostenerlo - contro i Paesi Nato, oggi coesi come mai da molti anni?

La banale verità è che storicamente gli europei sono sempre restii – stati dell’Est esclusi – a investire troppe risorse nella difesa, tanto che per decenni abbiamo trascurato l’aggiornamento dei sistemi d’arma delle nostre forze armate. I sondaggi di questi giorni ci dicono poi che molti italiani e molti europei sono favorevoli ad aiutare i profughi ucraini o a inviare aiuti umanitari in quel Paese, molto meno a inviare altre armi. Ecco, quindi, che si ricorre a questi “racconti del terrore” amplificando la minaccia per spingerci a sostenere il riarmo europeo. Effettivamente, alla luce di quanto accade nel mondo e lungo le nostre tribolate frontiere orientali e meridionali, era inevitabile focalizzarsi sulle necessità della difesa e sul sostenere – da ogni punto di vista – l’Ucraina.

Ma la demonizzazione del nemico, l’urlare che i barbari sono alle nostre porte, non significa fare un buon servizio all’Europa e, tanto meno, agli sforzi diplomatici internazionali. Migliorare le proprie difese e iniziare finalmente, con decenni di ritardo, a realizzare una difesa europea non implica il ritenere che le armi siano l’unico mezzo a disposizione per far finire una guerra, né per garantire la pace. La pericolosa retorica della ripolarizzazione del mondo, di cui si è già parlato, spinge a ritenere inutili gli strumenti, a volte manifesti, a volte discreti, della diplomazia e del compromesso. Quest’ultimo viene demonizzato come fosse un tradimento o un cedimento, quando è storicamente la soluzione più logica per uscire da impasse pagate con la vita di decine o centinaia di migliaia di persone. La logica dell’abbattere il nemico, del chiudere ogni canale di contatto, è una logica che non deve tornare a essere dominante in Europa: lo è stata per troppi secoli. A volte le armi sono indispensabili per impedire che scoppi un conflitto, dato che segnalano la capacità di difendersi, ma va ribadito come la pace abbia anche altri strumenti. E sono quelli che devono essere privilegiati.