Attualità

Amministrative 2017. Diaspora a sinistra nella «roccaforte» di La Spezia

Nicola Pini venerdì 9 giugno 2017

Dodici candidati sindaci, 26 liste, 744 candidati per i 32 posti a sedere del Comune. Mica male per una città ridotta a poco più di 90mila abitanti (dai 125mila degli anni Settanta): un aspirante consigliere ogni cento votanti. Ma l’istantanea di queste elezioni a La Spezia più che la moltiplicazione dell’offerta politica è la frantumazione del centrosinistra, che in questa provincia di confine, questo «Sud del Nord», comanda da decenni con mano morbida ma instancabile. Cinque anni fa il sindaco ora uscente, Massimo Federici (Pd), fu rieletto al primo turno con il 51%. Oggi è tutta un’altra storia. Nella città del ministro e leader della minoranza dem Andrea Orlando, paradossalmente, la diaspora a sinistra non è figlia dello scontro tra renziani e non. Le due anime del partito, nessuna abbastanza forte da imporsi, alla fine hanno siglato una tregua armata, saltando le primarie e scegliendo come candidato il socialista Paolo Mandredini, 60 anni, presidente del Consiglio comunale ed ex assessore. Del resto qui brucia ancora il patatrac delle regionali 2015: la lotta all’arma bianca alle primarie tra Sergio Cofferati e la renziana (e spezzina) Raffaella Paita finì con l’addio dell’ex leader Cgil, la spaccatura del centrosinistra alle urne e la vittoria del berlusconiano Giovanni Toti. Stavolta è arrivata la candidatura di mediazione sorretta da ben quattro liste civiche, quasi a mimetizzare la quinta, quella di partito. Peccato che, ricomposta da una parte, la frattura sia riemersa da un’altra. Quando uno dei big del potere locale, l’ex senatore ed ex sottogretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, fino a pochi mesi fa presidente dell’Autorità portuale, ha lanciato la sfida al suo stesso partito, candidandosi in proprio. Il Pd lo ha subito espulso. Classe 1949, si presenta come il politico affidabile e concreto, ma è indebolito da un’inchiesta della procura. Gioca la sua partita anche Guido Melley, commerciante noto in città, che offre un’immagine più fresca e apartitica raccogliendo giovani e sinistra libertaria. Ma pure lui, che fa parte di una famiglia influente (il fratello Matteo è presidente dalla Fondazione Carispe), è stato assessore nelle giunte uliviste. L’elenco si chiude con il nome del vicesindaco uscente, Cristiano Ruggia (Comunisti italiani). Quattro candidati per quella che un tempo era una coalizione. Compatto invece il centrodestra che ha ritrovato l’unità tra Forza Italia, Lega e Fdi, propiziata proprio dal governatore Toti, sul nome dell’ex segretario della Cisl, il 52enne Pierluigi Peracchini, un nome che può pescare voti al centro. Ha il compito non facile di spezzare lo storico monocolore spezzino, ma per andare a giocarsi le carte al ballottaggio deve vedersela pure con il M5S, che alle ultime regionali in città ha raccolto il 22%, e si presenta con Donatella Del Turco, una funzionaria delle Poste. Con gli outsider si arriva ai 12 candidati in una città che ha visto scolorire la vecchia identità industriale e operaia, non del tutto rimpiazzata dalla decisa virata verso il turismo. Il centro cittadino si è fatto piu gradevole, disseminato di risto-bar e paninerie. I turisti arrivano mordono e fuggono, talvolta senza nemmeno accomodarsi, dato che il mare in città non è balneabile e il patrimonio storicoartistico non sterminato. Così come i forestieri titolari degli sfavillanti yacht ormeggiati al nuovo porto turistico, ai quali lo spezzino medio già potrebbe invidiare il gommone di salvataggio. Nessuna grave crisi ma un futuro incerto, da inventare: oggi si discute del destino della grande area industriale che l’Enel lascerà libera nel 2020 e del ruolo del porto. Chissà se il meccanismo del doppio turno permetterà al centrosinistra di riattaccare i cocci al ballottaggio. Se così non fosse, per Spezia sarebbe un piccolo terremoto politico. E le scosse nel Pd arriverebbero fino a Roma.