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L'altolà. Di Maio: gara per Ilva un pasticcio. Avvieremo un'indagine al Mise

Paolo Pittaluga sabato 21 luglio 2018

Annullare la gara di vendita dell'Ilva per il parere dell'Anticorruzione? «Non credo che il governo possa farlo per questo motivo. Il nostro provvedimento è un parere e non contiene soluzioni che, invece, vengono lasciate al governo che dovrà effettuare autonome valutazioni». A dirlo è il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, in un'intervista al Corriere della Sera. Che Luigi Di Maio abbia parlato di "pasticcio" sulla gara, "è una sua legittima posizione che rispetto. Quando il ministro Di Maio, che è da sempre fautore della massima trasparenza, pubblicherà la nostra nota e la sua richiesta sarà tutto più chiaro», afferma Cantone. Il parere «ci è stato chiesto. Una decina di giorni fa ho incontrato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Fra le altre cose mi ha parlato della vicenda Ilva e di possibili criticità nella gara, anticipandomi che ci avrebbero chiesto un parere. Ho prospettato che forse non eravamo competenti ma lui ha evidenziato profili di nostra spettanza», racconta Cantone.

La richiesta «è stata mandata dal ministro competente e cioè quello dello Sviluppo economico per un parere. Abbiamo lavorato
con la massima urgenza e in una settimana abbiamo risposto». «Non abbiamo fatto accertamenti, né potevano farli», evidenzia Cantone. "Nel parere spieghiamo che abbiamo agito per spirito di leale collaborazione istituzionale e sulla scorta dei dati fornitici, solo per esprimere una posizione giuridica».

Nel merito, il governo aveva tre dubbi: «Il primo sulla legittimità dell'offerta presentata dalle parti con riferimento al rispetto dei termini intermedi e noi abbiamo risposto che dovevano rispettarli, precisando di non sapere se questo era stato fatto. Il secondo riguardava la modifica della scadenza al 2023. E su questo riteniamo che un periodo più lungo di sei anni avrebbe potuto portare a riaprire i termini per le offerte», spiega Cantone. Il terzo è sul rilancio: «Riteniamo che, malgrado la scarsa chiarezza della regolamentazione, si poteva anche consentire il rilancio».


La polemica
Chissà dove andranno a finire, di questo passo, le colate del prezioso acciaio italiano, soprattutto quello del sito numero uno, l’Ilva di Taranto. Domanda legittima dopo l’intervento di ieri alla Camera (deserta) del vicepremier Luigi Di Maio per il quale «l’offerta di AcciaItalia guidata dal gruppo Jindal era la migliore, ma nel bando metà del punteggio era dato al prezzo » e non al piano ambientale e «per questo è stata scelta Arcelor». Parole pesanti giunte il giorno dopo le osservazioni dell’Autorità anticorruzione (Anac), che aveva messo in evidenza criticità nell’iter della gara per la cessione dell’azienda precisando, peraltro, che l’eventuale stop alla procedura può essere valutato solo dal ministero dello Sviluppo economico nel caso in cui esista un interesse pubblico specifico all’annullamento. L’esame su eventuali 'irregolarità' era stato richiesto proprio dallo stesso dicastero dopo la segnalazione del governatore pugliese, Michele Emiliano. Governatore che non nasconde la propria soddisfazione: «Mi auguro – ha detto – che il ministro Di Maio, che evidentemente ha fiducia nella Regione Puglia a differenza del suo predecessore, prenda la decisione giusta per tutelare innanzitutto la salute dei miei concittadini e le esigenze produttive del Paese, che ovviamente vanno tenute in grande attenzione».

Una diatriba che chiama in causa il predecessore di Di Maio, Carlo Calenda, che replica a Di Maio di aver «detto cose gravi e false» e che «minacciare indagini interne al Mise è vergognoso. La responsabilità della gara è mia», ha continuato l’ex ministro, aggiungendo rivolto al vicepremier: «Assumiti la responsabilità di annullare la gara se la ritieni viziata». La gara, ha infine assicurato Calenda, «è stata fatta nel più assoluto rispetto di tutte le regole, come è stato riconosciuto anche dalla Commissione europea».

Certo è che i 'palleggi' politici di queste ore non giovano a un sito in agonia da 6 anni, che è in amministrazione straordinaria dal gennaio 2015 e perde 30 milioni al mese. Degli 11mila dipendenti, circa 3.300 sono in cassa integrazione e lo saranno fino al termine del commissariamento. L’accumulo di ritardi si ripercuote pesantemente su un’infrastruttura vecchia, priva di manutenzione e che continua inevitabilmente a ridurre la produzione. Laddove l’Italia, tra i Paesi leader europei nell’acciaio e pure tra i leader nell’industria meccanica che dall’acciaio dipende, rischia di dover acquistare all’estero e, in un contesto economico inquieto a causa dei dazi, magari di pagarlo molto di più. E con aziende che, al contrario, vorrebbero 'ripartire' con la produzione. Al riguardo una nota di ArcelorMittal: «In questi quattro anni, (Arcelor) ha partecipato con correttezza, impegno e dedizione alla gara d’appalto per Ilva, gestita dai suoi commissari sotto la supervisione del Governo Italiano – si legge –. All’interno di questo processo, la nostra azienda ha ottemperato in maniera chiara e trasparente a tutti i passaggi necessari, come richiesto dalle leggi italiana ed europea, per firmare il contratto vincolante per l’acquisizione di Ilva». E sottolinea che «in cinque anni investiremo almeno 4,2 miliardi nell’Ilva, di cui oltre 1,15 miliardi per migliorarne l’impatto e le emissioni ambientali. Il contratto include anche impegni su livelli e condizioni di impiego. Da quando, a giugno 2017, abbiamo firmato il contratto per l’affitto e l’acquisto di Ilva, e nonostante il tempo che è stato necessario per chiudere la transazione, abbiamo dimostrato la volontà di accelerare i nostri investimenti ambientali e industriali per rilanciare gli stabilimenti di Ilva il più rapidamente possibile ».