Attualità

Decreto sicurezza. La Digos all'anagrafe di Palermo, ma la Questura smentisce

Luca Liverani venerdì 4 gennaio 2019

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando incontra in piazza il presidio solidale di cittadini

Agenti della Digos all'ufficio anagrafe del Comune di Palermo, per verificare le procedure di iscrizione che il decreto sicurezza ha bloccato ma il sindaco Orlando ha deciso di proseguire. Un'ispezione, resa nota dagli stessi impiegati, che però la Questura palermitana si affretta a smentire con una nota: «Notizia destituita da ogni fondamento». «Nessuna perquisizione», dice anche lo stesso Matteo Salvini. L'intervento della polizia sarebbe avvenuto a seguito delle dichiarazioni del sindaco Leoluca Orlando sulla sospensione delle procedure previste dal decreto sicurezza e le direttive impartire al capo area, Maurizio Pedicone. Secondo i dipendenti comunali, i poliziotti hanno chiesto agli impiegati di descrivere la procedura per l'iscrizione anagrafica dei migranti che vogliono regolarizzare la loro posizione, e una copia della nota trasmessa dal primo cittadino. Da stamane, quindi, dopo il via libera del dirigente, è diventata effettiva l'indicazione di provvedere a iscrivere all'anagrafe i richiedenti asilo e i titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari, che per il decreto sicurezza non sono più rinnovabili. «Nessun dipendente della locale Digos ha fatto accesso nei predetti uffici comunali, in data odierna», afferma in una nota la questura di Palermo.

Il giallo sull'ispezione all'anagrafe palermitana si inserisce nel braccio di ferro tra Matteo Salvini e i "sindaci obiettori". «Molti sindaci che contestano il decreto sicurezza non lo hanno letto - attacca il ministro dell'Interno - perché nel decreto vengono garantiti il diritto alla salute, il diritto allo studio a tutti, i bambini non si toccano e non possono essere espulsi. Semplicemente non si regalano altri diritti ai furbetti come veniva fatto fino a ieri. Ma poi sono dieci sindaci. In Italia ci sono ottomila sindaci, quindi andiamo a parlare degli altri 7.990». E aggiunge: «La priorità del Pd? Un referendum per abolire il Decreto Sicurezza. Ma su quale pianeta vivono questi qui???». Gli risponde Matteo Richeti dei dem: «Ha proprio ragione Matteo Salvini, viviamo in un paese diverso. Nel mio chi ruba 49 milioni va in galera, gli esseri umani sono tutti uguali e il ministro degli interni non spara tutti i giorni cavolate sui social ma lavora per garantire la sicurezza agli italiani».

E mentre l'opposizione di sinistra attacca Salvini e sostiene la battaglia dei primi cittadini "ribelli", riemergono anche all'interno del M5s i malumori sulla sicurezza. La legge voluta dalla Lega, che aveva agitato l'anima più ortodossa del Movimento riapre il fronte delle critiche 5 stelle, certificato a suo tempo anche dalla presa di distanza del presidente della Camera, Roberto Fico, che aveva scelto di non presiedere la seduta il giorno dell'approvazione definitiva del provvedimento a Montecitorio. Oggi qualche pentastellato esce allo scoperto, come il senatore Matteo Mantero - che non aveva partecipato per protesta al voto di fiducia sul dl Sicurezza e che il 31 dicembre è stato però assolto dal Collegio dei probiviri M5s - che punta il dito contro un provvedimento definito «incostituzionale e stupido, a solo scopo propagandistico, che auspicabilmente sarà smontato dalla Consulta» che servirà a «creare illegalità dove non c'era, ridurre l'integrazione peggiorando le condizioni di vita di italiani e stranieri, far fare bella figura ai sindaci del Pd che hanno contribuito a creare il falso problema dell'immigrazione e ora passano per i paladini dell'integrazione».

Così come la senatrice Elena Fattori - lei ancora in attesa di giudizio dei Probiviri per la mancata votazione al dl Sicurezza - che auspica l'intervento del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, perché la legge possa essere cambiata. Ma così non sarà. Nonostante la disponibilità del premier ad incontrare gli esponenti dell'Anci, Di Maio conferma totale sostegno del M5s al decreto di Salvini: «Il presidente Conte incontrerà Anci, che tiene dentro Comuni a favore del decreto Sicurezza, perché è una legge dello Stato, e tra questi ci sono i nostri sindaci, che lo applicheranno - dice il vicepremier e capo politico M5S - e dall'altra parte ci sono gli altri sindaci che non vogliono applicarla. Stando alle dichiarazioni, l'Associazione dei Comuni rappresenta la stragrande maggioranza di sindaci che sono d'accordo».

La presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni corre in soccorso di Matteo Salvini: «Fratelli d'Italia è pronta a denunciare in procura i sindaci che si rifiutano di applicare la legge e dare piena attuazione al decreto sicurezza. In Italia la legge è uguale per tutti, anche per i sostenitori dell'immigrazione incontrollata», scrive su Twitter.

«Col decreto Salvini almeno 120mila persone in più saranno condannate a diventare irregolari. Altro che sicurezza. Lui vuole campare di propaganda ma la realtà è più forte della sua demagogia», dice il candidato alla segreteria nazionale del Pd Maurizio Martina. Al vicepremier leghista si rivolge anche un altro sindaco dem obiettore: «Si può anche non essere d'accordo con un sindaco - dice il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella - ma definirlo traditore è un un fatto istituzionale grave ed una mancanza di rispetto verso i cittadini che lo hanno eletto».

Polemico con Salvini anche Stefano Ceccanti del Pd, che invita il vicepremier leghista a non strumentalizzare la firma al decreto apposta dal presidente Sergio Mattarella: «Limitandosi a un giudizio d'insieme, specie sui decreti e sulle leggi di conversione, risulta pressoché inevitabile firmare anche leggi in cui qualche singola disposizione sia chiaramente incostituzionale, come quella relativa alla residenza. Per questa ragione, oltre che riflettere pro futuro sul rinvio parziale, sarebbe bene - afferma il parlamentare dem - che il Ministro Salvini la smettesse sin da subito di tirare in ballo in modo improprio il Presidente della Repubblica e cominciasse invece a pensare cosa accadrà quando queste norme salteranno perché incostituzionali o saranno ancor prima disapplicate se contrastanti con le norme europee. Perché alla fine, è bene saperlo, al di là delle schermaglie immediate, l'esito sarà quello», conclude Ceccanti.