Attualità

Da quei pozzi 100 milioni all?anno nelle casse di Regione e Comuni

PIETRO SACCÒ sabato 2 aprile 2016
Calcola Wood Mackenzie, la principale società a livello mondiale nell’analisi dell’industria dell’energia, che negli ultimi due anni il crollo del prezzo del greggio ha fatto saltare progetti di esplorazione ed estrazione di petrolio e gas naturale per un totale di 380 miliardi di dollari di investimenti. Il piano da 1,6 miliardi di euro di Total per Tempa Rossa, oggi il più grande investimento straniero privato in Italia, non rischia la stessa fine: il progetto è ormai alla fase finale e le sue sorti sono separate da quelle dell’ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Fonti aziendali confermano che entro il 2017, secondo i piani della joint venture Gorgoglione — di cui Total ha il 50%, gli olandesi di Shell il 25% e i giapponesi di Mitsui un altro 25% — inizierà la fase operativa: il petrolio del giacimento scoperto nel 1989 nella valle del Sauro sarà estratto dai pozzi (sei già perforati e due in attesa di autorizzazione) e convogliato nel “centro oli” in costruzione a Corleto Perticara, lì subirà un pre-trattamento per essere separato dallo zolfo e dal gas naturale, dopodiché tramite otto chilometri di condotta sotterranea raggiungerà l’oleodotto che già collega la Val D’Agri alla raffineria di Taranto. Una volta arrivato all’impianto pugliese il petrolio di Tempa Rossa, un greggio particolarmente “pesante” più adatto a diventare ingrediente dell’asfalto che bruciare nei serbatoi delle nostre auto, sarà stoccato per essere poi imbarcato sulle petroliere e dirigersi verso raffinerie straniere più attrezzate per lavorarlo. L’azienda conta, una volta che i pozzi funzioneranno a pieno ritmo, di estrarre dal giacimento 50mila barili di petrolio al giorno, 25mila in meno rispetto a quelli che Eni raccoglie dai 27 pozzi in Val D’Agri ma comunque una quantità sufficiente a rappresentare il 40% della produzione petrolifera dell’Italia (paese che, nel suo piccolo, è il terzo maggiore produttore di petrolio dell’Unione europea, dopo Norvegia e Regno Unito). Il progetto non ha un’enorme ricaduta diretta in termini di posti di lavoro: al momento vale 144 posti in Basilicata, poi c’è l’indotto temporaneo legato ai cantieri (altri 1.700 addetti lucani e 300 posti a Taranto). I benefici veri sono per le casse della Regione Basilicata e degli enti locali coinvolti: le royalties sono fissate al 10% del valore del gas e del petrolio estratti, e se normalmente il 55% dei diritti va alla Regione, il 30% allo Stato e il 15% ai Comuni, la Basilicata essendo una Regione europea “obiettivo 1” (aree che «presentano ritardi nello sviluppo») ha diritto anche alla quota dello Stato. Così, alle attuali quotazioni (basse) del petrolio, la Regione incasserebbe ogni anno circa 70 milioni di euro, i Comuni altri 12 milioni. Alla somma vanno aggiunti 9 milioni di royalties bonus, dato che gli accordi con Total prevedono per la Regione un contributo aggiuntivo da 50 centesimi al barile, e poi l’ottenimento gratuito del metano estratto (84 milioni di metri cubi all’anno, in bolletta valgono una ventina di milioni), più il gettito Ires e sponsorizzazioni di programmi di sviluppo sostenibile tra i 500mila e i 2,5 milioni di euro all’anno. Insomma, si arriva a un centinaio di milioni di euro di incassi all’anno. Ma il progetto non può partire finché non arriveranno gli ultimi via libera locali a Taranto, città in cui il progetto non porta grandi vantaggi economici: solo 25 portuali coinvolti nel traffico di una novantina di petroliere che verrebbero ogni anno a ritirare il petrolio e 3 milioni di giro d’affari per il porto, secondo l’azienda. Total ha bisogno di fare alcuni lavori alla raffineria pugliese, di proprietà dell’Eni, per adeguarla a questo ulteriore traffico petrolifero: ha chiesto l’autorizzazione per costruire due nuovi serbatoi e prolungare il portile di 335 metri dotandolo di una nuova piattaforma per l’accosto delle navi, oltre ad aggiustamenti minori. Il Comune nel 2014 ha bloccato l’autorizzazione, sulla base di una stima secondo cui le emissioni inquinanti in città crescerebbero del 12% a causa della movimentazione del petrolio di Tempa Rossa, con circa 90 petroliere che ogni anno verrebbero a prelevare il greggio. È su questo passaggio che è intervenuto il famigerato emendamento al centro del caso Guidi: la norma, passata con la legge di Stabilità 2015, include tra le attività “strategiche” a livello nazionale anche quelle connesse al trasporto, lo stoccaggio e il trasferimento di idrocaburi e dà al governo la possibilità di autorizzare direttamente la realizzazione delle infrastrutture necessarie d’accordo con le Regioni interessate. Sulla base di quella legge lo scorso 19 dicembre, il ministero dello Sviluppo economico ha potuto dichiarare che ci sono i presupposti per emanare il decreto che sbloccherebbe le opere per Tempa Rossa, una volta chiariti alcuni punti con la Regione Puglia. Il Comune, ormai esautorato, a gennaio ha autorizzato i lavori sul porto chiedendo però ulteriori verifiche sull’impatto ambientale. © RIPRODUZIONE RISERVATA Tempa Rossa