Attualità

Giornata dei disturbi alimentari. Da Giulia al fiocchetto lilla: mai più morti di cibo

Viviana Daloiso giovedì 15 marzo 2018

Non lo sa ancora, papà Stefano, cosa è capitato alla sua Giulia. Che il 15 marzo del 2011, mentre si trovava in lista d’attesa per entrare in una comunità di cura di Vicenza – finalmente, dopo 4 anni di estenuante lotta con l’anoressia e la bulimia – è morta. Ad appena 17 anni. Stroncata da un arresto cardiocircolatorio nella sua città, Genova, che non ha mai smesso di piangerla. «Aveva voti alti, andava d’accordo con tutti, era piena di vita – racconta lui –. La verità è che una risposta, alla domanda sul perché sia successo a lei, non ce l’ho». Eppure, a 14 anni, Giulia s’è ammalata. Ha cominciato a perdere peso «e soprattutto le si è spenta la luce negli occhi». Un punto in comune, nei racconti delle centinaia di famiglie che ogni anno Stefano Tavilla incontra con l’associazione nata in memoria di sua figlia, «Mi nutro di vita».

Non è la sua unica eredità: già dall’anno dopo la sua tragedia Stefano ha deciso di istituire una giornata per ricordarla «o meglio – racconta – per incontrare altre persone e con la mia testimonianza impedire che vivessero quello che era capitato a noi». Il primo anno l’evento s’è svolto soltanto nel capoluogo ligure. Oggi il giorno della morte di Giulia è diventato la Giornata nazionale dei disturbi alimentari, il cui simbolo è il fiocchetto lilla (da quest’anno adottato anche per la Giornata mondiale del 2 giugno) e che viene celebrata con una lunghissima lista di eventi, incontri e tavole rotonde in 124 città italiane.

«Cerchiamo di fare informazione, innanzitutto. Vogliamo che le famiglie sappiano come comportarsi quando si accorgono che i propri figli soffrono di un disturbo alimentare – spiega Stefano – e li indirizziamo agli ambulatori e alle strutture che conosciamo ». Questo avviene grazie alla collaborazione di altre 20 associazioni con cui «Mi nutro di vita» ha formato una Consulta nazionale, sostenuta dall’attività instancabile – anche nelle scuole, con le testimonianze – di decine di volontari da Nord a Sud. «Non possiamo più accettare che ragazze e ragazzi muoiano nel silenzio – continua ancora Stefano –. L’ultima volta è successo appena tre giorni fa, a Varese. Una notizia che non è stata data nemmeno dai telegiornali».

Informazioni, conoscenza del fenomeno e poi la presenza dello Stato. Chiedono questo soprattutto le associazioni delle famiglie, che negli ultimi anni si sono spese per l’approvazione di una legge sull’istigazione ad anoressia e bulimia, arenata nelle secche del Senato appena prima dello scioglimento delle Camere: «Siamo arrivati a un passo per vedere riconosciuto non solo il reato, che necessita della sua specificità, ma anche della pena, secondo noi necessariamente da commutare in un percorso di cura». Perché chi istiga all’anoressia e alla bulimia, soprattutto sui social network, «sono altre persone malate» conclude Stefano.

Oggi sarà a Genova, lì dove è cominciato tutto: «La cosa che mi fa ancora rabbia è che Giulia non fu considerata un’urgenza: ci vollero 40 giorni per una prima visita e dovemmo spostarci in Veneto, perché dove era stata seguita dalla comparsa dei primi sintomi fino al compimento dei suoi 14 anni – nel reparto pediatrico dedicato del Gaslini a cui ci eravamo appoggiati – ci dissero che non poteva più essere curata. Ci siamo sentiti soli, noi. Anche questo vogliamo non accada mai più, a nessun altro».