Attualità

IL GOVERNO E I PARTITI. Da Bersani e Berlusconi stop alle fronde anti-Monti

Roberta D'Angelo mercoledì 6 giugno 2012
Sembra crescere l’insofferenza verso le scelte del governo Monti, ma lo spettro della Grecia e la crisi che non accenna a diminuire neanche un po’ convince i leader dei tre partiti di maggioranza a non mollare. Se però l’Udc è compatta con il leader Casini sulla necessità di non «scherzare con il fuoco», Berlusconi con Alfano e Bersani faticano a tenere la base dei rispettivi partiti. L’ex premier convince il Pdl che questa è la fase più opportuna per portare a casa una riforma come il semipresidenzialismo, in grado di cambiare volto al Paese. E oggi il segretario pdl presenterà personalmente la proposta sulla falsariga del sistema francese. Il numero uno del Pd, invece, gioca la partita personale per la premiership, ed è pronto nella Direzione di venerdì ad avviare la sua campagna elettorale in vista delle sempre più probabili primarie interne.Di fatto, allora, Bersani smentisce categoricamente il responsabile economico del Pd, che aveva chiesto elezioni a ottobre «nel caso non si approvasse la legge elettorale», su cui preme Largo del Nazareno. «Non tutto è nelle nostre mani, non siamo maggioranza in Parlamento, ma per quel che ci riguarda noi ribadiamo la nostra assoluta lealtà e manteniamo il patto senza se e senza ma», assicura il segretario. «Per noi si arriva al 2013, come si capirà meglio dalla proposta che farò venerdì alla direzione».E nel corso della giornata Bersani, pronto a candidarsi per le prossime politiche, concede ai suoi la difficoltà di digerire molte scelte dell’esecutivo. «Anche se non tutto quello che fa questo governo ci piace e in alcuni casi faremmo diversamente, manterremo il nostro patto. Abbiamo detto "Prima di tutto l’Italia", e per noi questo vale sempre». Poi il leader democratico riflette sulla necessità espressa da Obama che l’Europa faccia «un passo, le proposte ci sono, le abbiamo fatte come progressisti, o entro il mese si decide qualcosa o andiamo davvero nei guai».E almeno su questo Bersani la pensa come Berlusconi, che affronta difficoltà non minori per placare i suoi, che al momento del voto di diversi provvedimenti più volte si sono sfilati. Tanto più che nel Pdl ancora si attende la novità, ovvero quella svolta annunciata da Alfano e dall’ex premier. Né pare alle porte quell’alleanza dei moderati con Casini e Montezemolo, per ora in alto mare. Il Cavaliere lavora a una lista che raccolga personaggi illustri, per contrastare il "grillismo". Una mossa su cui sta studiando anche Bersani con il suo Pd. E anche in questo, entrambi accantonano le alleanze e guardano "in casa".Diventa dunque decisiva la partita delle riforme. Alfano oggi si spenderà in prima persona per illustrare la proposta, ma anche per convincere B e C che i tempi ci sono per approvarla.IL DIBATTITO SUL SEMIPRESIDENZIALISMOPerché diciamo no. Caro direttore, la Costituzione è la carta fondamentale della Repubblica: i suoi valori sono più che mai attuali. Sottolinearlo non è un atto dovuto, più o meno retorico: da troppi anni la Costituzione subisce attacchi espliciti e logoramenti interni, tesi a indebolirla. Spesso le debolezze delle alleanze politiche e dei governi cercano un alibi e si inventano vie d’uscita nella messa in discussione della Costituzione. È un serio errore. Naturalmente ciò non significa che la Costituzione sia immodificabile: essa stessa indica nell’articolo 138 le vie per farlo. La sua seconda parte, relativa all’organizzazione dello Stato, ha bisogno di aggiornamenti e innovazioni: si tratta di definirli e realizzarli con un ampio consenso, non con le sole maggioranze del momento, e soprattutto non facendo venir meno la coerenza con i suoi valori guida.La proposta del semipresidenzialismo, avanzata da Berlusconi e Alfano, ha due difetti che la rendono ora impraticabile: arriva fuori tempo massimo e soprattutto passa sopra la testa dei cittadini italiani. Una modifica radicale nella forma dello Stato richiede, a nostro giudizio, un mandato preventivo, dal momento che la Costituzione è dei cittadini, non dei partiti. Non è accettabile l’idea di introdurre il semipresidenzialismo attraverso alcuni emendamenti, a meno di otto mesi dal termine della legislatura. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica comporterebbe una profonda riorganizzazione degli equilibri tra i poteri dello Stato. Un solo esempio: il Presidente della Repubblica, essendo capo di un governo e non avendo più una funzione di garanzia, non potrebbe presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura. Inoltre, lo stesso segretario del Pdl riconosce che manca in Italia una legge seria sul conflitto d’interessi. In 8 mesi si farebbe dunque più di un miracolo, ciò che è stato negato o non affrontato per anni. In queste settimane, in Parlamento, si sta discutendo una proposta di riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei senatori e dei deputati, l’avvio del superamento del bicameralismo perfetto, il rafforzamento del governo parlamentare. Se vi è la volontà di mettere in campo il presidenzialismo occorre, per serietà, limitarsi a ridurre il numero dei parlamentari e ad approvare una legge elettorale che superi il porcellum. Noi che siamo per un governo parlamentare forte, chiediamo a quanti legittimamente sostengono il semipresidenzialismo di essere coerenti almeno nelle procedure. Spetterà al nuovo Parlamento individuare strumenti idonei a fare esprimere la volontà dei cittadini anche introducendo con legge costituzionale l’istituto del referendum propositivo. Se si dovesse attuare il semipresidenzialismo non sarebbe davvero da escludere l’elezione, con il proporzionale, di un’Assemblea o Convenzione costituente. In ogni caso la nostra Costituzione non è scambiabile con niente, neppure con la legge elettorale che più ci sta a cuore: essa esprime i valori che tengono unito e danno futuro in Europa al nostro paese.Rosy Bindi e Vannino ChitiPerché diciamo sì. Caro direttore, il ciclone che si è abbattuto sull’Europa non solo ha mostrato tutta l’inadeguatezza del nostro sistema istituzionale: ha anche determinato una crisi generalizzata della politica e in particolare dei partiti. Quest’ultima accomuna tutto il Vecchio Continente: dai pirati tedeschi ai grillini italiani ai neonazisti greci fino ai lepenisti in Francia. Essa però si traduce in paralisi di governo solo laddove le istituzioni non reggono e consentono alla crisi dei partiti di investire lo Stato. Non solo la nostra storia passata, ma anche gli eventi che hanno portato al governo tecnico e lo stesso affanno in cui versa un esecutivo forte di una larghissima maggioranza parlamentare, dimostrano come l’attuale assetto renda l’Italia assai più prossima all’ingovernabilità della Grecia che non alla stabilità della Francia. Per questo il PdL ha promosso un tavolo fra i partiti della maggioranza per proporre una riforma costituzionale e, coerentemente con essa, una nuova legge elettorale anche per restituire ai cittadini il diritto di scelta. Il lavoro è andato avanti. Non senza risultati: la riforma costituzionale è già stata approvata in Commissione al Senato e anche sulla legge elettorale, pur mancando ancora l’accordo su un testo definitivo, il terreno di discussione era stato allora ben dissodato. Finché su quel percorso si è abbattuto il risultato delle elezioni amministrative, e con esso la consapevolezza che il sistema di voto immaginato avrebbe potuto non reggere lo "stress-test". Atene era ancora più vicina. E’ stato allora il Pd a ritenere che la diga andasse innalzata e a parlare di doppio turno alla francese, ipotesi fino a quel momento mai introdotta al tavolo della discussione. Si tratta di un sistema verso il quale il PdL, nel pieno di una ristrutturazione del fronte moderato, avrebbe potuto nutrire più di qualche legittima diffidenza. Eppure non abbiamo chiuso la porta. Siamo andati a "vedere le carte", per concludere che in Francia il doppio turno garantisce stabilità e bipolarismo perché c’è l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Per questo il PdL presenterà in Senato gli emendamenti per il semi-presidenzialismo. Non si tratta di fuoriuscire dal sistema parlamentare. Non a caso, alla Costituente quella soluzione fu sostenuta da uomini come Calamandrei, Saragat, Vittorio Emanuele Orlando. Avrebbe dato più equilibrio all’intero sistema concedendo ai poteri del presidente della Repubblica una legittimazione popolare. Se fu messa da parte fu solo per le contingenze storiche: troppo vicino il ricordo del regime fascista.Oggi, in un mutato contesto storico, e prevedendo adeguati contrappesi, quella proposta potrebbe immettere sangue vivo in una politica ormai esangue, togliere tutti gli alibi che in questi anni abbiamo sentito pronunciare dalla politica riguardo alla mancanza di poteri per attuare i programmi con i quali si è stati eletti e allontanare lo spettro di Atene e dell’ingovernabilità. Ci è stato detto che non c’è tempo: non è vero, perché la Quinta Repubblica francese nacque in tre mesi e se c’è consapevolezza della gravità della crisi e volontà politica il calendario è dalla nostra parte. Non pretendiamo un sostegno acritico ma neppure accetteremo un veto preventivo dettato solo dal pregiudizio. Vorremmo che in Parlamento ci sia un vero confronto nel merito. Auspichiamo che nel Pd non si smarriscano le voci di chi come Tonini, Morando, Ranieri e Gentiloni chiede di "andare a vedere". In ogni caso, speriamo che da questo confronto si pongano le basi condivise di una nuova stagione repubblicana nella quale, finalmente, l’Italia possa contare più dei partiti.Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello