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Intervista. Cuperlo: «Dico no al correntismo solo per le cariche»

Eugenio Fatigante sabato 13 marzo 2021

Gianni Cuperlo.

A Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione dem e leader della sinistra interna capace di scelte contro corrente (nel 2018 rimase fuori dal Parlamento per sua scelta), già candidato alle primarie nel 2013, chiediamo innanzitutto se anche lui prova «vergogna» per questo Pd, come detto dal leader uscente Nicola Zingaretti il giorno delle dimissioni: «Vergogna la provo – risponde – per la repressione in Bielorussia o per i 39 morti dell’ultimo naufragio davanti alle coste tunisine. Quanto al Pd, penso piuttosto che vada rifondato nel modo di discutere, di stare tra le persone e che sia venuto il momento di dire con chiarezza chi siamo, quali bisogni e quale parte di società vogliamo rappresentare.

Letta è la figura giusta al 100 per cento?
Si è dimesso un segretario, Zingaretti, eletto alle primarie da una maggioranza amplissima. Ha lasciato dopo mesi in cui ogni decisione è stata presa all’unanimità. Dinanzi a questo non esiste uomo o donna che possieda l’arma che uccide il leone. Se vogliamo ricostruire la fiducia con pezzi interi del Paese, serve discutere con tutta la sincerità di cui siamo capaci.

Non serviva un percorso più di “rottura” per trasmettere l’idea di una vera rifondazione?

Serviva e servirà un congresso centrato sull’identità di un partito che in 15 anni ha cambiato 8 segretari e subito due o tre scissioni, in alcuni casi guidate dai suoi stessi leader. Andrà fatto appena le condizioni lo consentiranno, ma da subito è giusto che la discussione prenda avvio e coinvolga circoli, amministratori, giovani, il tanto di buono che vive fuori da noi.

Non teme che l’alleanza con un M5s a guida Conte finisca con un’erosione di consensi ai danni vostri?

Non sono un matematico e so che la politica non si basa solo sui numeri. Ma se pure il Pd, e io me lo auguro, superasse i consensi di ora non potrebbe da solo rappresentare una alternativa vincente alla destra. Per cui le alleanze servono e debbono essere politiche, sociali, territoriali, in un Paese che conosce divari e disuguaglianze insostenibili. Col M5s e Leu abbiamo affrontato l’anno terribile della pandemia e se l’Italia dispone della chance del Next Generation Eu è perché quel governo ha spostato loro su posizioni diverse da prima. Per questo voglio scommettere che si possa crescere assieme, tanto nei consensi che nella qualità delle risposte.

Sono sufficienti le due settimane di discussione interna indicate da Letta?

Serviranno tempo, volontà e quello spirito di verità evocato anche da Letta. Non servirà, invece, un falso unanimismo, meno che mai un correntismo che scambia il pluralismo delle idee col monologo sulle cariche. La ricostruzione di cui parlo è una necessità indotta da due premesse: che attorno a noi è cambiato il mondo e i progressisti devono rivedere molte categorie con cui hanno interpretato l’economia e la società nell’ultimo quarto di secolo; che dentro quel cambiamento dobbiamo rendere chiara e conoscibile la nostra identità in termini di valori, priorità, forze che vogliamo mobilitare e coinvolgere.

La Lega affronta invece svolte anche nette con un’apparente unità. Quali sono le differenze?

Restano su principi e politiche. La Lega ha lasciato persone che soffrivano in ostaggio del mare, per esibire il pugno duro ai tg della sera. Non lo rimuovo, anche se oggi sosteniamo lo stesso governo. Come non rimuovo che, mentre esibisce il volto della moderazione, Salvini continui a guardare a Orbán prima che a Bruxelles.

Mi dice due-tre battaglie concrete e riformiste da cui il Pd potrebbe ripartire?

Accelerare un nuovo sistema di ammortizzatori sociali che protegga tutti i lavori e non escluda dalle tutele gli "schiavi" del terzo millennio. Investire su scuola e formazione le risorse necessarie a colmare il gap che tuttora paghiamo. Rimettere la sfida per i diritti umani globali al centro dell’agenda, partendo dai drammi che investono il cuore del Mediterraneo.

In realtà, forse, a dover essere rifondata non è l’intera politica, dopo che le elezioni 2018 non hanno prodotto una maggioranza omogenea e dopo i fallimenti di due governi nell'arco di questa legislatura che hanno portato all'esecutivo Draghi?

Credo sia così. Dal 2011 non abbiamo avuto un governo espressione diretta del voto. Questa legislatura di governi ne ha già conosciuti tre, con maggioranze ogni volta diverse. Per anni si è affrontato il capitolo della stabilità con sistemi elettorali e riforme istituzionali, bisogna prendere atto che il tema riguarda la qualità della partecipazione, della rappresentanza e della democrazia. E allora, in questo tempo storico ripensare le culture politiche - a cominciare dalla nostra - diventa la condizione per immaginare il dopo.