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Il rapporto. Ecco tutti i regimi e le multinazionali che «rubano» terra alle comunità

Paolo Lambruschi venerdì 27 aprile 2018

Le terre coltivate e predate del pianeta sono come una superficie di campi coltivati grande otto volte il Portogallo. In questo secolo sono state acquistate o affittate nei Paesi del sud da investitori e sottratte alle comunità locali privandole dell’accesso a risorse indispensabili per lo sviluppo.

Le vittime del land grabbing sono così costrette a migrare verso le città o verso altri Stati. Il quadro del fenomeno in estensione, che sottrae in nome del libero mercato cibo e futuro a intere popolazioni, viene delineato dal rapporto della Focsiv 'I padroni della terra', presentato oggi a Bari nel Villaggio Contadino di Coldiretti. Secondo lo studio, basato su dati raccolti da Land matrix, osservatorio globale della società civile che ha preso in esame accordi dal 2000 fino allo scorso marzo, i contratti di acquisto o affitto di terra nel mondo sono 2.231 per un’estensione di oltre 68 milioni di ettari.

A questi vanno sommati altri 209 in corso di negoziazione, per oltre 20 milioni di ettari. Cifre comunque sottostimate, ammette il rapporto. La maggior parte dei patti conclusi - oltre 1.500 - riguarda investimenti in agricoltura su 31 milioni di ettari. In seconda posizione gli investimenti nello sfruttamento delle foreste, poi per la realizzazione di zone industriali. Gli investimenti agricoli riguardano soprattutto colture alimentari (630 contratti per 19 milioni e 700 mila ettari) e produzione di biocarburanti (261 contratti per 9 milioni 740 mila ettari). «In America latina – afferma il presidente della Focsiv Gianfranco Cattai – si è coniato un termine che sintetizza alcune di queste operazioni: estrattivismo.

Anche papa Francesco lo usa per indicare gli interventi di governi ed imprese che estraggono risorse strategiche per il mercato internazionale, oltre al petrolio e in generale agli idrocarburi, specie vegetali ed animali, nuovi metalli essenziali per la produzione di tecnologie, ma anche beni essenziali come terra e acqua. Un estrattivismo che impoverisce il territorio e le comunità, soprattutto quelle più vulnerabili che non riescono a difendere i propri diritti e che esclude i più deboli generando nuovi poveri».

Tra i primi 10 investitori accanto a ricchi Stati del Nord come Stati Uniti, Gran Bretagna e Olanda, ci sono le economie emergenti di Cina, India e Brasile, colossi petroliferi come Arabia Saudita, Emirati Arabi e Malesia, paradisi fiscali come Singapore e Liechtenstein. I primi 10 Paesi target, oggetto degli investimenti, sono soprattutto quelli impoveriti dell’Africa, come Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Mozambico, Congo Brazzaville e Liberia, e in Asia sud orientale la Papua Nuova Guinea. La Focsiv denuncia inoltre come la corsa verso la terra avvenga con 'una pressione verso il basso dei prezzi di acquisto o affitto delle terre'. Si sfruttano insomma economie strozzate dal crescente debito internazionale, in competizione tra loro per attrarre dall’estero valuta pregiata.

È l’Africa ad attrarre da sempre la maggior parte degli investimenti, occupando quasi 30 milioni di ettari, di cui ben il 64% per colture non alimentari. Anche l’Italia con alcune grandi imprese agroindustriali ed energetiche ha investito su un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 paesi. La maggior parte si trovano in Romania e Africa (Gabon, Liberia, Etiopia, Senegal). Buona parte degli investimenti italiani riguardano la produzione di legname e fibre (circa 65%) e di biocarburanti Esiste una fascia di Paesi che il rapporto definisce 'grigi', contemporaneamente investitori e target. Come la Cina, che ha investito con 137 contratti per una superficie di 2 milioni e 900 mila ettari in oltre 30 paesi nel mondo, mentre è oggetto di 16 contratti di acquisizione e affitto per oltre 400 mila ettari. O l’India, oggetto di acquisizioni di terre con 13 contratti per 54 mila ettari ma, contemporaneamente, le sue imprese stanno investendo con 56 contratti per oltre 2 milioni di ettari in oltre 20 Stati.

Interessante il caso dei paradisi fiscali come Singapore, che ha ben 63 contratti per oltre 3 milioni di ettari in 27 paesi nel mondo, soprattutto in Africa centrale e Asia sudorientale. O come le Isole Mauritius, Bermuda, Isole Cayman e Isole Vergini Britanniche da dove transitano flussi finanziari investiti anche in acquisti e affitti di terre nel mondo. Davanti alla predazione di risorse strategiche nei Paesi poveri che colpisce i diritti fondamentali, la Focsiv ha deciso di attivarsi. «Negli ultimi anni – conclude Cattai – è cresciuta la voce delle conferenze episcopali latinoamericane, africane e asiatiche a fianco delle comunità locali per contrastare le operazioni di land grabbing. Con Cidse, alleanza delle Ong cattoliche internazionali, abbiamo deciso di appoggiarle».