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Cei. Dall'Etiopia all'Italia attraverso i corridoi umanitari: salvi i primi 25 profughi

Luca Liverani giovedì 30 novembre 2017

Il primo gruppo di profughi arrivati dall'Etiopia in Italia attraverso i corridoi umanitari (Siciliani)

Sono atterrati alle quattro e mezzo del mattino. Salvati dai campi profughi dell'Etiopia. È il primo nucleo di 25 persone dei 500 previsti dal primo protocollo sottoscritto dalla Cei e dalla Comunità di Sant'Egidio. Dieci saranno accolti e integrati da Caritas italiana e Fondazione Migrantes in collaborazione con le diocesi. Gli altri da Sant'Egidio.

A dare ai richiedenti asilo il benvenuto a questo primo gruppo del protocollo, in cui è coinvolta direttamente la Chiesa italiana, è il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino: «La speranza è che il ripetersi dell'esperienza dei corridoi umanitari diventi una prassi consolidata, la strada per chi ha bisogno di realizzare il sogno di vivere con dignità, Questa esperienza - dice Galantino - non nasce oggi, ma si pone a fianco di altre iniziative che la Chiesa italiana sviluppa in questi paesi di migrazione e transito da più di 30 anni».

«Il criterio adottato è quello della vulnerabilità - spiega il presidente di Sant'Egidio Marco Impagliazzo - e non è un caso che un terzo di loro siano bambini». C'è anche il direttore generale per le politiche migratorie del ministero degli Esteri, Luigi Vignali, che spiega come questo modello di cooperazione tra Cei, Sant'Egidio, Viminale e Farnesina «per la prima volta apra un corridoio in Africa che accoglie tre nazionalità, somali, sud-sudanesi ed eritrei, sempre attenti che siano migranti in condizioni di particolare fragilità. Cambia l'area, ma la costante è la protezione dei diritti umani e dei profughi più vulnerabili».

L'accoglienza: da Ragusa a Ventimiglia

Come i sette somali accolti dalla diocesi di Ragusa: Ali Mohamed Abdi, 54 anni, la moglie Kadija Hussen, 31 anni e i loro cinque bambini tra i 15 e 2 anni. Musulmani, sono stati perseguitati da un gruppo islamico fondamentalista. E una delle bambine è affetta da lupus, una grave malattia autoimmune che si è già portata via un fratellino. La Caritas di Ventimiglia invece accoglie un papà sud-sudanese, solo coi suoi due bambini, una dei quali ha un grave problema a un occhio.

Efrem riabbraccia la sorella

Poi c'è Efrem, 25 anni, eritreo, che rivede oggi sua sorella Shewa, 38 anni, che lo aveva lasciato quindicenne. Un lungo abbraccio e lacrime di gioia. Shewa apre le porte della sua piccola casa ad Orvieto dove vive col marito e tre figli. Dopo la fuga del marito dall'Eritrea, era partita incinta anche Shewa, attraversando il Sahara e il Mediterraneo, lasciando suo malgrado una figlia piccola. Arrivata in Svezia, Shewa è stata respinta in Italia per la clausola di Dublino. Poi anche la bambina ha avuto il ricongiungimento. Ora, divenuta cittadina italiana, la donna riabbraccia il fratello: «È un miracolo, devo tutto a queste persone meravigliose».