Attualità

Il caso. Mense in carcere, basta fondi alle coop sociali

Luca Liverani martedì 30 dicembre 2014
Un incontro di quattro ore al ministero di via Arenula. Le cooperative sociali vogliono leggerlo come un segnale di disponibilità. «Crediamo che la convocazione del ministro Orlando testimoni il desiderio di non buttare via quanto abbiamo costruito in dieci anni come bene comune per la società civile, reinserimento sociale, abbattimento della recidiva, sicurezza per i cittadini. Evitando allo Stato condanne per adeguamenti retributivi ai detenuti che lavorano per lo Stato».Nicola Boscoletto della Giotto di Padova ha guidato il gruppo delle cooperative sociali convocato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, assieme al capo di gabinetto Giovanni Melillo e ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Dall’incontro è emersa con chiarezza la decisione di chiudere i finanziamenti - circa 3,5 milioni l’anno - con i quali la Cassa per le ammende finora aveva permesso alle cooperative sociali dal 2004 di far lavorare circa 170 detenuti e 40 operatori sociali, in 9 tra le più importanti case circondariali italiane che ospitano 7 mila detenuti. Si tratta della Ecosol a Torino; la Divieto di sosta a Ivrea; la Campo dei miracoli a Trani; L’Arcolaio a Siracusa; La Città Solidale a Ragusa; Men at Wotk e Syntax Error a Rebibbia; ABC a Bollate (Milano); Pid a Rieti e appunto la Giotto a Padova.«Il capo di gabinetto ha detto che si cercheranno soluzioni individuali per ogni singola cooperativa, in modo che non si perda l’esperienza», spiega il vicedirettore del Dap Luigi Pagano. «Secondo il progetto avrebbero dovuto implementare le commesse esterne e rendersi autosufficienti ma purtroppo non è successo», dice Pagano che pure sottolinea gli esiti positivi della sperimentazione: tasso di recidiva drasticamente ridotto per chi ha fatto parte del progetto, indotto per i dipendenti, ore passate fuori dal carcere.«Non vogliamo far morire la speranza: non si tratta di buttare via qualcosa delle cooperative, ma un bene della società civile – insiste Boscoletto – e anche se "in zona Cesarini", la convocazione del Ministro va letta come una reale volontà di trovare qualche soluzione, per portare a sistema, con le eventuali e necessarie modifiche, queste realtà che tutti giudicano positivamente». Il 17 marzo scorso l’allora presidente del Dap, Giovanni Tamburino, dichiarava: «Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, anzi si va avanti». Il nuovo capo del Dipartimento Santi Consolo, nominato da due settimane, ha chiesto una breve proroga - il termine è slittato dal 15 al 31 gennaio - per capire meglio la situazione.Boscoletto ricorda che la chiusura della collaborazione con le coop «non creerebbe economia, perché la gestione interna delle mense ai contribuenti complessivamente costa di più, senza portare nessun beneficio in direzione del reinserimento dei detenuti». Chi sconta la pena senza lavorare, una volta uscito delinque in media dieci volte più di chi ha imparato un mestiere. «Senza contare – dice Boscoletto – le sentenze che hanno già condannato l’amministrazione a pagare quanto dovuto: i detenuti che lavorano per lo Stato sono retribuiti in base ai contratti del 1993 e hanno diritto a chiedere l’adeguamento, spesso di molte migliaia di euro».