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Intervista. Conte: no fermo alle armi e fondi a famiglie. Draghi rimoduli impegno Nato

Marco Iasevoli martedì 29 marzo 2022

Giuseppe Conte, ex premier e leader del M5s

«Ho 20 minuti, poi devo rientrare: stiamo discutendo le proposte per definire l’azione politica del Movimento, di oggi e di domani. Il nuovo corso significa anche essere un cantiere aperto per trovare risposte a temi come istruzione, welfare, transizione energetica e lavoro». Giuseppe Conte risponde dal Roma scout center, dove è in corso la due giorni programmatica del Movimento 5 stelle. Mentre si confronta con i Comitati tematici, i militanti stanno votando sulla nuova piattaforma on line per la sua riconferma a presidente del Movimento, contromossa studiata per impedire alla vicenda legale che pende dinanzi al Tribunale di Napoli di bloccare il Movimento alla vigilia delle amministrative e, soprattutto, nella fase di preparazione alle elezioni politiche del 2023. In tarda serata arriva l’esito atteso dall’ex premier, che ora può riprendere il timone di M5s.

«Ma io non ho mai lasciato il timone – commenta l’ex premier –. Questo nuovo mandato della base è semplicemente altro vento in poppa: ci dice che il M5s non è qui per compromessi al ribasso o perseguire politiche di comodo. I nostri valori e le nostre posizioni vanno rispettate e dobbiamo pretenderlo a tutti i livelli». Parole che oggi pomeriggio Conte ripeterà a Mario Draghi nell’incontro fissato a Palazzo Chigi per trovare una mediazione sul Def e sulle spese militari.

Questa nuova fase della sua leadership nel M5s parte con una battaglia precisa, il no all’aumento della spesa militare. Ci spiega il motivo politico e di merito di questa scelta?
Veniamo da due anni di pandemia e il Paese è schiacciato da una forte crisi. Famiglie e imprese faticano a far quadrare i conti a fine mese. Ci sono cittadini che in questi giorni devono scegliere se fare la spesa o pagare il gas e la luce: vogliamo veramente dire loro che in questo momento diamo priorità al riarmo investendo risorse straordinarie sulle spese militari? Ha ragione Papa Francesco, rischiamo di togliere ancora una volta fondi «a chi manca del necessario» per offrire una illusoria certezza di sicurezza. Per questo il nostro è un no fermo al riarmo: il M5s si opporrà con tutta la sua forza parlamentare all’aumento sconsiderato delle spese militari.

Lei dice che non è "ora" il momento di raggiungere il 2% del Pil di spesa in riarmo. Chiede una rimodulazione dei tempi di raggiungimento di quest’obiettivo o di non perseguirlo affatto?
Il M5s ha una chiara collocazione euroatlantica e io stesso ho più volte ribadito che gli impegni assunti in sede Nato molti anni fa vanno rispettati: chi insinua il contrario è in malafede. La sofferenza degli ultimi anni, però, non va ignorata: chiedere uno sforzo finanziario di 10/15 miliardi in poco meno di due anni al nostro bilancio significa distrarre risorse dagli obiettivi, questi sì prioritari, della transizione energetica e del welfare sociale. Non devono esserci dogmi in una situazione come quella attuale: devono essere ridiscussi i criteri di calcolo, devono essere ridiscusse le tempistiche. È una posizione di puro buon senso, altro che irresponsabilità.

In quali circostanze il M5s potrebbe non votare il dl Ucraina o, tra pochi giorni, il Def?
La questione del voto non può prescindere da una fase di confronto. Il M5s è la forza di maggioranza relativa e ci aspettiamo che le nostre istanze siano ascoltate dal premier e dall’esecutivo. Nessun passo indietro su questo. Anzi chiediamo al governo di farne uno avanti. Chi dovesse prendersi la responsabilità di non ascoltarci si assumerà anche quella di fibrillazioni di cui il Paese non ha francamente bisogno. Ho letto appelli al buon senso: ecco appunto, facciamo prevalere il buon senso.

Da ex premier lei ha confermato gli impegni Nato: non pensa di mettere in difficoltà il suo successore a Palazzo Chigi?
Non si tratta di mettere in discussione un accordo preso nel 2014, ma di far presente ai nostri alleati che soprattutto l’Italia e anche l’Europa sono state travolte da una gravissima pandemia sanitaria ed energetica. Quando si è presidente del Consiglio è giusto tener conto di obblighi e percorsi pregressi, ma allo stesso tempo si ha il dovere di rappresentare le sopravvenienze negative che impongono di valutare cosa sia meglio per il proprio Paese in un dato momento storico. Anche quando a Bruxelles all’inizio della pandemia chiesi con forza la necessità di un’Europa solidale e non austera, qualcuno mi consigliò di desistere. Invece abbiamo ottenuto il risultato, un cambiamento fino ad allora inimmaginabile.

La sua posizione è condivisa con il ministro degli Esteri?
Siamo per la Difesa comune europea e la razionalizzazione delle risorse già in campo, siamo per la sicurezza degli italiani, per l’autodeterminazione dei popoli. Diciamo però che non è questo il momento di investire risorse straordinarie sul fronte militare. Questa è la posizione del M5s, non ce ne sono altre.

Con Di Maio fuori dagli organi istituzionali del Movimento, che tipo di rapporto imposterà con lui e la sua "corrente"?
Sapete già cosa penso del correntismo: è un fenomeno che non fa parte del passato del Movimento e che non farà parte del suo futuro. Il ministro Di Maio ha già fatto un passo indietro, dimettendosi dall’organo di garanzia e rendendosi disponibile a contribuire al nuovo corso del Movimento sul piano delle idee e delle proposte.

Se sulla difesa Pd e M5s si divideranno, rischia di saltare l’alleanza politica?
Il M5s non può rinunciare alla sua identità e all’interesse dei cittadini per convenienza politica. Credo però che alla fine prevarrà il buon senso. Ricordiamoci che le questioni che noi stiamo ponendo stanno particolarmente a cuore ai cittadini e la rincorsa a un riarmo forsennato rischia di segnare un solco profondo nell’opinione pubblica. Dobbiamo essere all’altezza di ciò che il Paese domanda.

Lei ha guidato il Paese in una fase di imprevista emergenza: le è capitato in queste settimane di mettersi nei panni di Zelensky? Cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe chiesto alla comunità internazionale?
Sarebbe difficile e anche fuori luogo provare a vestire i suoi panni. Mi sono sicuramente trovato a gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti, ma non mi posso certo paragonare a chi vede i bambini morire e il proprio Paese soffrire sotto le bombe. Sicuramente mi sarei adoperato con tutto me stesso per un immediato cessate il fuoco cercando il coinvolgimento di tutti i principali attori della comunità internazionale. La priorità è fermare la follia della guerra.

Intanto si continua a sparare e morire: chi ha responsabilità nel non far decollare soluzioni diplomatiche?
Quella di Putin è stata un’aggressione ingiustificabile, non per questo però possiamo sentirci esonerati dalla necessità di lavorare per una soluzione diplomatica che possa fermare questa folle guerra. Tutti devono predisporsi al dialogo e alla soluzione politica: è l’unica via percorribile.

I toni duri su Putin di Biden e di altri sono un ostacolo?
In questa fase è fondamentale pesare ancor di più le parole, perché tutti dobbiamo essere concentrati ad agevolare una soluzione politica e, quindi, la fine della carneficina in Ucraina.

Se si arriverà alla pace, quali dovrebbero essere i rapporti dell’Italia e dell’Europa con Putin?
Sicuramente c’è un prima e un dopo l’aggressione all’Ucraina e la reazione dell’Unione europea alla Russia è stata forte, unita e determinata. Putin rischia di rimanere isolato, facendo un danno anche al suo popolo e alle relazioni costruite negli anni con i Paesi europei.

Sulla dipendenza energetica e sulla mancata diversificazione, che certo viene da lontano, si assume la responsabilità per quanto riguarda i suoi due governi?
I miei governi hanno puntato come nessun altro su un cambio di rotta in campo energetico. Penso al Superbonus, alla spinta che l’Italia ha imposto in Europa sulla transizione energetica con il Next Generation EU. Ora bisogna semplicemente avere ancor più coraggio: servono investimenti massicci sulle rinnovabili per essere realmente indipendenti dal gas russo.