Attualità

Dopo la Consulta. Suicidio assistito, Conte: «Non c'è diritto a morire»

Angelo Picariello sabato 28 settembre 2019

«Da giurista e da cattolico mentre non ho dubbi che esista un diritto alla vita, perno di tutti i diritti della persona, dubito che ci sia un diritto alla morte». Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte prende posizione dopo la sentenza della Consulta sul suicidio assistito. «Esiste un diritto all’autodeterminazione per cui scelgo le mie cure, ma scegliere di essere avviato alla morte e chiedere l’ausilio di personale qualificato può essere un po’ dubbio », interviene da Ceglie Messapica. «Per i medici quantomeno - osserva allora - bisognerebbe riconoscere l’obiezione di coscienza». Ora, «bisogna fare una legge: ci sprona a farlo la stessa Corte costituzionale. Quando ho chiesto la fiducia - ricorda - ho sollecitato le forze politiche, su questi argomenti non mi sembra appropriata un’iniziativa governativa ».

Proprio ieri il cardinale Gualtiero Bassetti ha confermato che i vescovi italiani sono «profondamente turbati» per la decisione della Consulta che apre al suicidio assistito, e ha rimarcato la presa di posizione contraria dei medici, «che non sono sicuramente tutti dell’associazione cattolica». Il presidente della Cei richiama a una concezione della vita in cui «la persona deve essere accolta dal momento della nascita fino alla fine della vita naturale. La vita è una scintilla che non hai acceso tu, che è stata accesa, e che si deve spegnere come tu l’hai accolta».

Quindi cita papa Francesco: «Non si può usare la medicina per assecondare una possibilità di volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio». Anche perché le terapie del dolore hanno fatto grandi passi avanti. Non è vero che «condanniamo qualcuno alla tortura, perché ci sono le cure palliative: basta informarsi bene dai medici, che risolvono non dico tutti ma quasi tutti questi problemi». Di «morte a comando» parla il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia, e di «fragilità della politica italiana». Anche Moraglia mette in risalto la presa di posizione dei medici».

No quindi a una «visione utilitaristica della vita». Ma, seppur con grave ritardo, la politica può ancora dire la sua: «Ci appelliamo al Parlamento - conclude Bassetti -, affinché sia almeno rispettata l’obiezione di coscienza. Speriamo con tutto il cuore che non tutto sia perduto». E anche il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, apre al confronto: «Non ho intenzione di cercare lo scontro con i partiti o di mettere in discussione la sovranità di un Parlamento o degli organi costituzionali, io cerco dialogo, prudenza, impegno per tutelare la vita, nient’altro, un bene comune che non riguarda soltanto i cattolici», rimarca Russo, intervistato dal Fatto Quotidiano. E anche il suo appello, ora, è a «studiare una legge per evitare le derive».

Auspica un’«accelerazione» il viceministro pentastellato alla Salute Pierpaolo Sileri. Una normativa che introduca «paletti condivisi da tutti», chiede Maurizio Lupi, di Noi con l’Italia, che condivide lo «sconcerto » della Cei. «Nessuno mette in pericolo la vita umana», frena Francesca Businarolo di M5s. Ma dopo la presa di posizione della presidente Elisabetta Alberti Casellati sono in molti a chiedere, ora, che la discussione riparta dal Senato. «Non è indifferente», dice Paola Binetti, dell’Udc, ricordando gli 11 mesi avuti a disposizione dalla Camera. «Al Senato giacciono da tempo proposte di legge», rimarca Maurizio Gasparri, per Forza Italia. «Tocca al Senato», dice anche la capogruppo di Annamaria Bernini.