Attualità

Rapporto. Consultori pubblici? Insufficienti. E il ruolo del padre resta nell'ombra

Luciano Moia giovedì 12 dicembre 2019

(Boato)

Un problema di numeri o di contenuti? L’indagine diffusa ieri dall’Istituto superiore di Sanità, che per la prima volta fotografa nel dettaglio la realtà dei consultori familiari italiani, sottolinea soprattutto carenze di diffusione e conferma che i servizi sono rivolti in modo specifico alla «salute materno infantile», secondo un’impostazione che guarda soprattutto agli aspetti sanitari e lascia troppo sullo sfondo la famiglia nella sua complessità relazionale. Sembrano restare nell’ombra anche i compiti educativi dei genitori, come il ruolo paterno e altre dinamiche familiari, come l’emergenza anziani.

L’indagine è stata presentata ieri a Roma in apertura del convegno "I consultori familiari a 40 anni dalla loro nascita, tra passato, presente e futuro". Dal concepimento fino alla nascita, per tutta l’adolescenza e anche nell’età adulta i consultori familiari, si spiega, tutelano la salute della donna e del bambino. In base a questa prima indagine su 1.800 consultori italiani, è emerso che il loro numero sul territorio è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. In Italia, infatti, vi è un consultorio ogni 35mila abitanti sebbene la legge del ’96 ne preveda uno ogni 20mila. La differenza tra le regioni è così marcata che in sette il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40mila.

Ha spiegato Laura Lauria dell’Istituto superiore di Sanità, responsabile scientifico del progetto: «Nonostante la frequente indisponibilità di risorse e la carenza di organico, i consultori svolgono un’insostituibile funzione di informazione a sostegno della prevenzione e della promozione della salute della donna e in età evolutiva». Le attività più diffuse? Percorsi per le donne in gravidanza e nel dopo parto, screening del tumore della cervice uterina, supporto a coppie, famiglie e giovani, sebbene con diversità per area geografica suscettibili di miglioramento». Servizi che – come riferisce l’indagine – si concentrano soprattutto su assistenza al percorso nascita e interruzione di gravidanza, oltre a screening oncologici per i tumori femminili.

A parere di Serena Donati, direttore del Reparto salute della donna e dell’età evolutiva, bisogna sottolineare anche una rilevante opera di «promozione della procreazione consapevole e responsabile, con cui i consultori hanno contribuito a ridurre le interruzioni volontarie di gravidanza nel Paese di oltre il 65% dal 1982 al 2017». Mentre rimane critica l’offerta «gratuita dei contraccettivi che è garantita dal 25% dei consultori e – aggiunge l’esperta – l’offerta di interventi di educazione all’affettività e di promozione delle salute nelle scuole che riguardano meno della metà dei servizi».

Proprio l’obiettivo di far rientrare la distribuzione gratuita dei contraccettivi in un quadro di educazione all’affettività, con tutte le problematicità connesse, denota uno sguardo parziale sulle dimensione familiare nella sua globalità, come sottolinea Livia Cadei, docente di pedagogia alla Cattolica e presidente della Felceaf, la federazione lombarda dei consultori familiari di ispirazione cristiana: «La nostra rete – fa notare – è da sempre attenta alla dimensione integrale della persona con un’offerta in cui gli aspetti educativi rimangono prioritari». Lodevole certamente, aggiunge Cadei, l’attenzione ai temi della maternità, ma forse la famiglia oggi avrebbe la necessità di un approccio multidisciplinare capace di intercettare tutti i suoi bisogni. Perché ignorare quasi del tutto il ruolo dell’apporto maschile alla ridefinizione non solo delle dinamiche di coppia ma anche dei compiti educativi? Troppo auspicare che la futura riforma del settore non ignori questo approccio più ampio e inclusivo?